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venerdì 1 luglio 2011

Immigrazione cinese e spionaggio !

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Gli addetti ai lavori la chiamano “strategia della lampreda”, dal nome del pesce d'acqua dolce, una sorta di anguilla viscida e verdastra che si mimetizza tra le rocce aspettando la sua preda, per avvicinarsi poi di soppiatto con le sue ventose e succhiarle il sangue. Una metafora della Cina che vince e compra il mondo con metodi anche sleali, che sembra aver ispirato i nostri servizi segreti nell' ultima relazione sulle attività di intelligence del 2010, appena presentata in parlamento. Nel delineare le “minacce all'economia nazionale e al sistema paese”, gli 007 tricolori hanno messo, infatti, l'accento sul fenomeno degli investimenti esteri in Italia, la prima delle “sfide crescenti “ per il “duplice rischio” che operazioni di questo tipo comportano, di “depauperare il patrimonio tecnologico” e “alterare le condizioni di mercato”. “Tentativi in questa direzione sono stati rilevati specialmente nei settori delle telecomunicazioni e dell'elettronica”, annotano i responsabili della sicurezza, invitando la classe politica a porre particolare attenzione alle “manovre di acquisizione da parte di gruppi stranieri che, pur dichiaratamente dirette a conseguire un miglioramento produttivo”, scrivono, “sottendono in realtà l'interesse ad appropriarsi del know how tecnologico nazionale”. Insomma si comprerebbero aziende in Italia (come in altri paesi) non per rilanciarle, ma per spolparle e portar via i loro asset, brevetti, tecnologie, marchi, competenze. In un attacco, si osserva ancora, reso tanto più massiccio dalla crisi economico finanziaria globale, che ha messo in evidenza la “vulnerabilità del patrimonio scientifico e tecnologico nazionale” a fronte di investitori stranieri, soprattutto di origine asiatica e cinese, con notevoli disponibilità finanziarie, e per questo “in costante progressione in molteplici settori prevalentemente capital intensive”. Uno scenario non molto diverso da quello evocato ancora ai primi di gennaio dal vicepresidente della Commissione UE, Antonio Tajani, che dopo la tentata scalata da 1 miliardo di euro della cinese Xinmao sul produttore di cavi olandese Draka (battaglia poi vinta dall'italiana Prysmian) aveva sottolineato la necessità di tutelare il patrimonio industriale europeo da operazioni di natura speculativa che portano solo alla fuga di competenze. Tajani aveva anche chiesto un dibattito in commissione per armonizzare il sistema di relazioni economico-commerciali tra l'Europa e la Cina e introdurre dei meccanismi di controllo e autorizzazione degli investimenti stranieri, a salvaguardia degli interessi strategici delle imprese del vecchio continente. E questo perchè la Cina continua ad essere un regime a partito unico, dotato di un potentissimo apparato di intelligence che ha le sue diramazioni all'interno di aziende pubbliche e private, università ed enti di ricerca, sedi diplomatiche, uffici di corrispondenza esteri e persino istituti di lingua e cultura cinese sparsi per il mondo. Una struttura a reticolo che fa capo a tre ministeri, quello per la sicurezza dello stato (Guoanbu), la sicurezza pubblica (Gonganbu) e il commercio (Shangwubu), cui corrispondono altrettante agenzie di controspionaggio, che si sommano al servizio segreto dell'esercito (Qingbaobu) e a una moltitudine di uffici di ricerca strategica, dipartimenti studi e istituti di analisi economica, che dipendono direttamente dal Comitato Centrale del Partito comunista cinese e dal consiglio degli affari di stato (il governo), e in nome del “patriottismo economico” promosso dall'amministrazione Hu Jintao, portano avanti un'attività di business intelligence e di raccolta informazioni all'estero a ogni livello, come racconta Roger Faligot, un esperto della materia, in un libro che per la prima volta fa una radiografia del sistema di spionaggio cinese, “I servizi segreti cinesi” Newton Compton editore. “Gli americani hanno dal 96' una legge sullo spionaggio industriale”, osserva Giuliano Tavaroli, già responsabile della security in Pirelli-Telecom, e oggi libero consulente del settore, “e perseguono ogni anno almeno una dozzina di cittadini di origine cinese per difendere tecnologie e brevetti”. “In Italia”, continua, “a parte poche eccezioni come Eni, Enel o Finmeccanica, non c'è la cultura necessaria a capire i rischi derivanti dalla competizione globale. E questo a causa della struttura stessa della nostra economia, che è composta al 70 % da piccole e medie imprese. Le aziende italiane, in sostanza, non proteggono le loro informazioni, e rappresentano così un bersaglio tanto più facile per la concorrenza straniera”. A farne le spese, in termini di furti di proprietà intellettuale e contraffazioni, sono state finora tutte le aziende del made in Italy con una presenza in Cina, dalla moda al lusso e al design, dalla cantieristica al manifatturiero e all'alimentare, fino alla Fiat, che si è vista copiare la carrozzeria della Panda dalla cinese Great Wall Motor, in una controversia legale tuttora pendente, a 5 anni dall'inizio. Ora il confronto si è spostato in casa, con lo sbarco nel nostro paese di fondi di private equity, banche e altri grandi investitori cinesi. Per questo Confindustria ha aderito l'estate scorsa a un programma ideato dal Generale Giorgio Piccirillo, il nuovo capo dell' Aisi (il servizio di sicurezza interno, l'ex Sisde), per la messa sotto tutela da parte dei nostri 007 di 100 aziende italiane nei settori Ict, nanotecnologie, aerospaziale, meccanica di precisione e ricerca biomedica. In un esperimento pilota che si propone di erigere entro il 2013 una barriera per contrastare l'avanzata dello tsunami cinese.
Inoltre . . .
Alla fine del 2007 è stata condannata da un tribunale francese a un anno di carcere, di cui dieci mesi con la condizionale, più 7 mila euro di multa, per “abuso di fiducia” e “introduzione fraudolenta in un sistema automatico di dati”. L'accusa iniziale era, però, di spionaggio industriale. Perchè la 22enne Huang Li-Li era stata sorpresa a copiare file riservata nell'azienda in cui era in stage, la casa di componentistica auto Valeo. I vertici di quest'ultima, tuttavia, non avevano voglia di creare un caso diplomatico con la Cina, visto che in quel paese dispongono di 3 joint-venture, 2 uffici vendite, un centro tecnico e una scuola di formazione. E così hanno preferito non infierire, lasciando sulla giovane stagista del Wuhan, il cui processo è stato trasmesso dalla TV pubblica francese, l'ombra del dubbio : era solo una studentessa ingenua, o un'abile spia ? Già nel decennio scorso, “sotto l'impulso dei presidenti Deng Xiaoping e Jiang Zemin”, scrive sempre Faligot nel suo libro, “è nata una vasta nebulosa dell'informazione economica, tecnologica e finanziaria che agisce sia nel campo dell'informazione aperta che in quello dello spionaggio clandestino”. La rete informativa delle agenzie di sicurezza attraversa capillarmente tutte le strutture della società e può avvalersi all'estero di quelli che vengono chiamati “pesci d'acqua profonda”, “agenti operativi illegali immersi nelle comunità dei cinesi d'oltremare”. Studenti, ricercatori universitari, giornalisti, diplomatici e uomini d'affari, costituiscono così una sorta di quinta colonna di un sistema dedito alla raccolta di informazioni strategiche : “Non agiscono come spie e tuttavia ottengono grandi quantità di notizie”, che metteranno a disposizione delle autorità al loro rientro.huang

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