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giovedì 4 luglio 2013

Orizzonte rosa. Voglio vivere single.

Nel 2001, ha 28 anni, ho lasciato Allan. Stavamo insieme da tre anni, e non c'era una valida ragione per finirla. Lui era, (ed è ancora), una persona eccezionale, intelligente, attraente, fedele, gentile. I miei amici rimasero sconcertati, e anche io. Sentivo semplicemente che mancasse qualcosa.
In più non ero pronta a mettere su famiglia. Il periodo che seguì fu terribile. Avevo commesso il più grave errore della mia vita ? Oggi ho 39 anni, troppi ex fidanzati alle spalle e davanti a me, almeno così mi sento dire, due opzioni entrambe deprimenti : rimanere single, oppure accontentarmi di un compagno "abbastanza giusto". A questo punto è chiaro che innamorarsi e sposarsi siano questione, più che di scelta, di fortuna. Dieci anni fa, il pensiero della fortuna non mi sfiorava neppure. Ma 10 anni fa c'erano tante altre cose che non sapevo. La decisione di porre fine a una relazione stabile per ragioni astratte anziché concrete, è in linea con una mentalità da babyboomers, per cui l'appagamento emotivo vale più di ogni altra cosa. E privilegiare l'indipendenza rispetto alla coppia è un'idea da femminismo di seconda ondata ereditata da mia madre. Sono stata la sua prima e unica recluta, quella che in terza elementare andava a scuola indossando minuscole magliette verdi o blu che sentenziavano: "una donna senza un uomo è come un pesce senza bicicletta".
All'università ho passato molti pomeriggi a discutere con le amiche i vantaggi del depilarsi le gambe, e se avremmo preso o meno il cognome del marito. Era scontato che avremmo passato il decennio tra i 20 e i 30 anni a cercare noi stesse, posticipando il matrimonio fino a quando avessimo terminato il master o il dottorato e avviato una carriera. Il fatto che ci saremmo sposate, e che ci sarebbero sempre stati uomini che avremmo voluto sposare, era un atto di fede. Come era possibile il contrario ? Uno dei motivi per cui le nostre vite differivano da quelli delle nostre mamme, era la varietà di rapporti con gli uomini. I maschi erano compagni di classe e colleghi, capi e docenti, e col tempo sarebbero diventati anche nostri allievi e dipendenti: un intero universo di potenziali amici, fidanzati, amici con cui fare sesso, e addirittura ex fidanzati divenuti amici.
Col tempo, le donne sono salite sempre più in alto, e gli uomini hanno cominciato a rimanere indietro. Siamo arrivate in cima alla scala solo per scoprirvi una stanza grande e vuota, come negli ultimi istanti di una festa, quando la maggior parte degli uomini se ne è andata, e alcuni non si sono neppure presentati ; i pochi rimasti ti lanciano sguardi libidinosi dal tavolo degli stuzzichini, oppure sono quelli che, diciamocelo, non frequenteresti mai.
Nei 90' Stephanie Coontz, docente di storia sociale alla Evergreen State College di Washington, autrice di “Marriage, a History”, notò che giornalisti e pubblico le chiedevano sempre più spesso, se l'istituzione del matrimonio stesse crollando. A suo avviso non era così, ma tutti erano convinti che fosse esistita una mitica età dell'oro matrimoniale, e vedevano l'aumento dei divorzi come una prova del declino di quel passato idilliaco. L'estate scorsa, ho telefonato alla Coontz per parlare con lei di questa rivoluzione.
"Ci troviamo senza dubbio nel mezzo di un'inversione di tendenza straordinaria", mi ha detto. "Una trasformazione importante, immensamente liberatoria e insieme spaventosa. Per quanto riguarda ciò che la gente desidera e si aspetta dal matrimonio e dalla relazione, e il modo in cui organizza la sua vita sessuale amorosa, tutte le vecchie regole sono saltate".
Tanto per cominciare posticipiamo il matrimonio. Nel 1960, l'età media in cui ci si sposava, era di 23 anni per i maschi e 20 per le femmine. Oggi è salita a 28 e 26. È in generale ci sposiamo meno, un cambiamento, questo, avvenuto negli ultimi 15 anni. Nel 1997 era sposato il 29% di chi come me apparteneva alla generazione X. Nel nuovo millennio, il dato è precipitato al 22% ; nel 1960 era il 50%.
Cosa ancor più importante, per fare figli non siamo più tenute ad avere un marito, così come non siamo tenute ad avere figli sé non ci va. Per chi desidera un figlio biologico e non ha trovato l'uomo giusto, questo è un momento molto fortunato. In una famiglia nucleare, la gravidanza non deve più necessariamente essere il fine ultimo, nonché il capolinea della vita di una donna, e infatti lo è sempre meno. Oggi il 40% dei bambini nasce da madri single. Questo non vuol dire che tutte le donne in questione lo abbiano scelto, ma il fatto che ce ne siano tante delle classi medio alte, (anche gay e lesbiche), è che anche le più anziane possano avere figli, mediante l'adozione della fecondazione artificiale - ha contribuito a ridurre lo stigma.
Se da un lato avere un figlio da single non è più motivo d'infamia, dall'altro la maternità in sé è vista sempre meno come un obbligo. Dal 1976 a oggi, la percentuale di donne over 40 senza figli e quasi raddoppiata. E io? Voglio dei figli? Non lo so. Ma, a un certo punto della vita, ho deciso che non sarebbe stata la biologia a guidare la mia vita sentimentale.
Sono consapevole che così restringo ulteriormente il mio ventaglio di possibilità? Si. Così come mi rendo perfettamente conto, che divento sempre meno attraente per i coetanei, i quali possono scegliere da un ampio parco di donne più giovani. I progressi culturali e tecnologici, che hanno formato il mio punto di vista sulla maternità, basterebbero da soli a ridefinire il nostro concetto di famiglia.
Purtroppo, però, devono fare i conti con un'altra serie di mutamenti che potremmo riassumere nella definizione : il deterioramento della condizione maschile. Qui le implicazioni si fanno straordinarie. Se in tutti i settori della società le donne sono in ascesa, questo significa che il matrimonio inteso come regime basato sullo strapotere economico del maschio, potrebbe essere destinato a sparire.
La mia grandissima amica B. avrebbe potuto sposare un giocatore di basket professionista, ma ha scelto il tizio con cui può passare la notte a parlare: un grafico che le arriva alla spalla. C., editor di successo, è una Venere con un fidanzato di 14 anni più giovane. Quando Gloria Steinem disse "stiamo diventando gli uomini che avremmo voluto sposare", dubito che si rendesse conto della sua preveggenza. Ma se l'ascesa delle donne è stata un bene per tutti, il declino dei maschi è un male. Per loro in primis, ma anche per il matrimonio. Le donne non si sono mai trovate di fronte a un bacino così ristretto di quelli che tradizionalmente vengono considerati "buoni partiti" : uomini con un'istruzione migliore e guadagni più alti dei loro. Per cui oggi le donne devono vedersela con questa nuova "scarsità". Che significa per il futuro della famiglia? Nel loro libro del 1983 “Too Many Women ? The Sex Ratio Question” due psicologi elaborarono quella che è diventata celebre come teoria Guttentag-Secord, secondo cui gli appartenenti al genere meno numeroso, sono meno dipendenti dal partner in quanto dispongono di un maggior numero di alternative. Posseggono quindi meno "potere diadico" degli appartenenti al sesso in eccesso. Le conseguenze però variano drasticamente da un sesso all'altro.
Nella società in cui gli uomini sono in maggioranza rispetto alle donne, queste ultime sono ritenute preziose, vengono trattate con deferenza e rispetto, e sfruttano il loro alto potere diadico per creare coi partner, legami improntati all'affetto e all'impegno. Nelle società a prevalenza femminile, invece, gli uomini diventano promiscui e meno disposti a impegnarsi in una relazione. Se gli uomini cominciano a sfruttare la varietà di potenziali partner disponibili, i ruoli femminili tradizionali perdono di valore, e dal momento che queste donne non possono contare sul fatto che i partners rimangano al loro fianco, un numero sempre maggiore ripiega su ambizioni extra familiari come l'istruzione e la carriera.
Nel 1988, i sociologi Scott J. South e Katherine Trent, si riproposero di testare la teoria Guttentag-Secord analizzando dati provenienti da 117 paesi. Molti aspetti della teoria furono confermati in tutti i paesi presi in esame ; a un maggior numero di uomini corrispondevano più donne sposate, meno divorzi, e meno forza lavoro femminile. Inoltre le dinamiche illustrate dalla Guttentag-Secord, apparivano più marcate nei paesi sviluppati : in altre parole gli uomini capitalisti sono dei porci. Scherzo! Anche se, avendo investigato i comportamenti dei maschi cubani americani di ceto alto, ho scoperto che si, in molti casi, se un uomo ha successo è meno interessato a impegnarsi. Come il direttore di una rivista che al nostro primo appuntamento ha dichiarato di voler "rimanere sulla piazza", almeno fino ai 40 anni. O l'accademico che alla quinta cena, ha annunciato di non volere una relazione emotiva fissa, ma che era molto interessato ad averne una fisica. E questi sono quelli sinceri.
Se conoscere persone e trovare potenziali partner costituisce un mercato, oggi dobbiamo vedercela con un "gap delle aspettative", per cui donne interessate al matrimonio si trovano sempre più spesso ad avere a che fare con cialtroni e Don Giovanni. A riprova di ciò, qui negli Usa, abbiamo un esempio nei campus universitari dove i primi 90 hanno visto la nascita della "cultura del rimorchio". Gli studenti, in preda alla vertigine della libertà, si sono gettati a capofitto in un turbinio di storie di una notte. Questo, a seconda dei punti di vista, ha fatto sì che le ragazze smettessero di vergognarsi dei loro bisogni sessuali, o le ha costrette a una promiscuità di cui non sentivano il bisogno. I ragazzi, a quanto pare, non aspettavano altro.
Secondo Robert H. Frank, economista della Cornell University, che ha trattato il tema della domanda e dell'offerta nel mercato matrimoniale, la cosa non dovrebbe stupire. Quando il numero di donne disponibili e significativamente superiore a quello degli uomini, come in molti campus, "i comportamenti del corteggiamento mutano nella direzione voluta dagli uomini". Se ci sono molte più donne che uomini, le norme sociali contrarie al sesso occasionale si affievoliscono. Certo Frank specifica che "esisteranno sempre alcuni uomini e donne particolarmente richiesti come partner. Pensiamo a Penelope Cruz e George Clooney". Ma le probabilità "che anche una donna molto desiderata si dedichi al sesso occasionale, pur avendo sufficiente potere di mercato da permetterle di sfidare la norma imperante" aumentano. Se il fenomeno interessa perfino Penelope Cruz, noi cosa dovremmo fare?
Questa tendenza sta prendendo sempre più piede, almeno nei campus universitari americani, dove il rapporto tra donne e uomini è di 57 a 43. Su questo fenomeno, nel 2010, il New York Times ha pubblicato un articolo molto discusso. "Se un maschio non ottiene ciò che vuole, può rapidamente rivolgersi alla femmina successiva. Siamo così tante ", dichiarava la studentessa di un college.
A questo punto, sarebbe forse il caso di affrontare la questione di cosa significhi davvero essere una single, visto che oggi un numero sempre maggiore di donne e uomini, da un capo all'altro dello spettro economico, trascorre da single più anni della vita adulta che in qualsiasi altro periodo storico.
Le cifre sono impressionanti. Il Census Bureau nel 2010 ha riportato che il numero di famiglie sposate ha toccato il minimo storico: 48%. Quando mi sono trasferita a New York - a proposito di stereotipi tipo Sex & The City - non cercavo un fidanzato. Cercavo la mia strada e la mia indipendenza. Una volta, mentre mio padre tentava di consolarmi perché in amore ero stata così sfortunata, sono andata su tutte le furie. Avevo conosciuto così tanti uomini interessanti, vissuto così tante esperienze. Non era una fortuna anche quella? Tutto questo per dire che una donna single, raramente viene vista per ciò che è davvero. Bella De-Paulo, psicologa sociale della University of California, è la studiosa che in America ha più riflettuto e scritto sull'esperienza dell'essere single. Nelle 2005 coniò il neologismo singlism, "singlismo", ovvero "La stigmatizzazione dei single".
Nel suo libro “Singled Out”, sostiene che le complessità della vita moderna, unite alla fragilità dell'istituzione matrimoniale, abbiano dato vita a un'esaltazione del legame di coppia senza precedenti. La "matrimoniomania" predica che l'unica via alla felicità consiste nel trovare un partner, in grado di soddisfare ogni nostro bisogno emotivo e sociale. Chi non ci riesce va compatito. Pranzando al ristorante, De-Paulo mi ha spiegato che l'ossessione culturale per la coppia, ci impedisce di vedere la rete di rapporti che ci sostiene quotidianamente nel suo complesso.
Noi siamo molto più della persona con la quale siamo, (o non siamo), sposati: siamo anche amici, nonni, colleghi, cugini……… Ignorare la profondità e la complessità di queste reti, significa limitare la pienezza della nostra esperienza emotiva. C'è addirittura chi crede che il legame di coppia, anziché rafforzare la comunità, la indebolisca : la coppia sposata, assorbita dalla sua minuscola nazione a due, finirebbe per non curarsi più di altro. Nel 2006, le sociologhe Naomi Gerstel e Natalia Sarkisian, sono giunte alla conclusione che, a differenza dei single, gli sposati dedicano meno tempo a mantenere i contatti e ad aiutare i loro amici e parenti. Le studiose li definiscono "matrimoni ingordi". Capisco come mai le coppie formino "nazioni isolate", ma perché continuiamo a valorizzarle ?
Ora che le donne sono economicamente indipendenti, e che il matrimonio si è trasformato da necessità in opzione, siamo libere di perseguire quella che il sociologo Anthony Giddens ha chiamato "relazione pura", in cui l'intimità viene ricercata in quanto tale, e non solo a scopo riproduttivo. Certo è che, in un mondo dove le donne possono costruirsi da sole la loro posizione sociale, l'idea che mediante il matrimonio, un individuo possa migliorare o peggiorare la sua condizione si dissolve, al punto che l'importanza dei criteri convenzionali come l'età e la statura, sostiene Step Coontz, negli Stati Uniti ha toccato il suo minimo storico.
Ovunque mi giri, vedo coppie che ribaltano le regole. La mia amica M., regista di successo, si è innamorata del dogsitter, un uomo di 12 anni più giovane ; sono stati insieme tre anni, e oggi sono amici. A una festa, lo scorso settembre, un uomo più giovane di 11 anni mi ha invitato a cena. Non l'ho preso sul serio eppure mi sono ritrovata su un'auto diretta a casa dei suoi per Natale.
Il mio livello di appagamento tuttavia è decisamente aumentato, da quando ho cominciato ad approfondire le amicizie con donne single come me. Si tratta di quella che mio fratello definisce la nostra "catena umana" : l'abitudine delle mie amiche di aiutarsi reciprocamente.
Sono state loro a ospitarmi mentre mi documentavano su questo articolo. Deb mi ha prestato il suo bell'appartamento a Chelsea, mentre era fuori città. Catherine mi ha sistemato nella sua casa estiva di Cape Cod. E quando Courtney ha avuto bisogno di qualcuno che le stesse accanto durante un'operazione, per quattro giorni ho scritto fra un cambio di bende e l'altro. Allora, ispirata da visioni del Barbizon Hotel, il residence newyorkese "per sole donne", ho convinto la mia amica Willamain a trasferirsi nel mio palazzo a Brooklyn. Ci conosciamo da quando avevamo cinque anni e ho pensato che sarebbe stato di conforto per entrambe. Funziona.
Quando occorre ci ritiriamo a vicenda la posta, ci prestiamo le stoviglie, ci assistiamo quando siamo malate, intavolando discussioni nei momenti più inaspettati. Insomma : tutti i vantaggi di uno studentato, ma senza i bagni sporchi.
Ciascuna con il suo spazio. Uno spazio dove due donne single possono vivere e crescere rimanendo se stesse.

Kate Bolick

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