All'ingresso
del libro “Varlam Salamov (Scienze e lettere)”, quasi ad
avvertire che di scavo nella voragine del male si tratta, Luigi
Fenizi accoglie il lettore con una domanda ruvida e assai poco
cerimoniosa : perchè, chiede, tutti conoscono Auschwitz, e nessuno o
quasi conosce Kolyma ? Per deficienza del materiale documentario ?
No, non è così. Oggi almeno ne sappiamo abbastanza per misurare
l'orrore senza riparo del gulag comunista.
Ai
cui delitti di malvagità non è neppure mancato il talento
letterario di chi, come “Varlam Salamov”, li ha rivissuti, li ha
risentiti quei delitti, e così risentendoli e raccontandoli ha
comunicato il suo strazio a pagine che stringono ed opprimono. Non
la materia del racconto, dunque, e nemmeno la maestria del raccontare
: nulla, nulla manca. Eppure …
Eppure,
spenzolante dal gancio di quell'interrogativo iniziale, la domanda
resta : perchè il nome di Himmler suscita esecrazione e quello, per
dire, di Ezov, aguzzino tra i più disfatti nell'animo, non si dilata
in circolo con l'onda dell'eguale sdegno ? La risposta di Fenizi
batte sull'”asimmetria dell'indulgenza”, dove asimmetrico sta per
sbilenco, sbilanciato ; e sbilanciato proprio nel senso che sui
piatti dell'umana canaglieria i crimini del nazismo pesano di più di
quelli del comunismo perchè, così almeno si pensa, quelli furono
delitti che nulla può scusare ; questi invece rimangono errori.
Tragici,
micidiali, ma pur sempre errori che come tali hanno deviato per
strade storte un progetto, quello comunista appunto, che aveva dalla
sua la maestà degli ideali salvifici. Nulla di più sbagliato,
secondo Fenizi, per il quale il verme era già nel frutto, (non si
sfugge – scrive – alla responsabilità della teoria), e c'è come
un ponte volante tra la dottrina del comunismo e i suoi esiti
concentrazionari.
Non
foss'altro perchè la storia, nei rari momenti in cui sa essere
maestra, ci insegna proprio questo : che la “salvezza” degli
uomini riesce fatale alla loro libertà. Sempre, con l'implacabile
regolarità di un metronomo, sempre, ogni qual volta si è dato di
piglio alla “rigenerazione morale ed intellettuale” della
collettività, sempre si è fatto capo ad un manipolo di fanatici
che, in nome degli uomini quali dovranno essere, si arroga un potere
tirannico sugli uomini quali effettivamente sono.
Scrisse
una volta Anatole France : “Quando si vuole rendere gli uomini
buoni e saggi, liberi, moderati, generosi, fatalmente si è portati a
volerli uccidere tutti. Robespierre credeva alla Virtù : fece il
Terrore”.
Marx
credeva di aver risolto “l'enigma della storia”, sono parole sue.
Come meravigliarsi che quella fine, il capitombolo nel Gulag, fosse
scritta nel principio ?
Gaetano
Pecora