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giovedì 4 settembre 2014

Orizzonte rosa. Difendiamoci dal cyber bullismo.

La verità è che ci piace abbastanza. La verità è che la molestia in rete e
una versione adulta è molto vantaggiosa di tutti i fangosi campi da gioco su cui ci siamo allenate lungo la giovinezza: compagni di classe prepotenti, capo uffici sussiegosi, passanti smaniosi di ostentare virilità.
La verità è che, se vi prendete la briga di venire sul nostro sito a dire quanto non vi piacciamo, abbiamo già vinto. Sulla stampa inglese americana, il dibattito ha un "cancelletto", in linguaggio moderno hashtag, ovvero un'etichetta che lo caratterizza e lo rende tema caldo del giorno se non addirittura della settimana. Il fatto che quell' hashtag sia #mencallmethings, #gliuominidiconolecosebrutte, dovrebbe già essere esaustivo circa il livello da scuola elementare.
Fanno così, fin da piccoli. Impariamo a gestirli, fin da piccole. Ci dicono che siamo brutte, che nessuno ci vuole, che siamo quattrocchi e ciccebombe e qualunque altra sciocchezza vi vergognereste di usare come argomentazione in un dibattito. A volte ci restiamo male. In quel caso ci sono due spiegazioni possibili: abbiamo meno di otto anni, e ancora non abbiamo imparato i trucchi del bisticcio; o siamo in una giornata di particolare fragilità, di quelle in cui qualunque cretino è in grado di sembrarci metafora delle ingiustizie nel mondo in generale e della nostra vita in particolare.
A volte ci restiamo male, ma il più delle volte è uno spasso. Davvero: non c'è niente di più godurioso che mettere un cretino di fronte al suo essere un cretino. Fargli notare la sua totale mancanza di strumenti dialettici. La sua incapacità di fare un'obiezione che sia anche vagamente in tema. Non importa se accade in rete o nel mondo reale, (cui la rete somiglia sempre più, e su questo torniamo tra poco).
Importa solo che anni di allenamento ci hanno fatto capire che non possono vincere. Non perché siamo delle Demostene del dibattito noi: perché sono un disastro di dibattenti loro.
Davvero: uno che ti dice "puttana" perché sei stata più veloce di lui a vedere il parcheggio è uno che troppo facilmente viene annichilito da un finestrino abbassato e da un suo ardentissimo "E, mi dica, in che modo la pochezza della sua vita sessuale inficia invece le sue doti di guidatore?".
Uno che ci dice "cicciona" somigliando più al ragionier Filini che a George Clooney, e lo dice allorché tu stai argomentando sulla finanziaria e non candidandoti a Miss Italia, si espone a un numero di sottolineature della sua inadeguatezza che quasi vien da intenerirsi.
E ci sarà sempre quell'uno che, in rete, dice la cosa che, implacabile come le tasse e il Natale, non può non venire prima o poi detta in ogni dibattito on-line: "Devi scopare di più". Non avete bisogno che vi suggerisca risposte: ogni donna adulta ne ha almeno cento.
La rete, quindi, somiglia al parcheggio, col tizio che t'insulta perché sei stata più abile di lui; alla strada, dove il tizio ti fischia e si offende se non gli dai corda; all'ufficio, dove il caporedattore ti dice "Tu occupati di belletti", certificando in questo modo che l'opinione che hai appena trasmesso sulla crisi di governo è informata, sensata, e così superiore alla sua che l'unico modo che ha di gestirti è, come avrebbe detto suo nonno, rimetterti al tuo posto.
Dev'essere una vita durissima, quella vissuta sapendo che tu sei in grado di avere pareri informati sui belletti e anche sui ministri, e lui su nessuna delle due cose. Nessuno stupore che si sfoghi dicendoti le cose brutte. Avrai notato, (sei una donna sveglia), che dopo ogni debacle di quel certo capoufficio in riunione, sul tuo blog compare un commento di lupachiotto65 che ti dice che sei una cessa e tuo marito ti riempie di corna. E con un certo sollievo che, rispondendoli nei commenti del blog, articoli ciò che pensi di lui e della sua evidente invidia del pene, (altrui): in riunione non potresti. Se solo ci mettesse la faccia, sarebbe costretto a contenersi. E anche tu. Sarebbe davvero un peccato.
Qualche mese fa ho risposto, nei commenti della pagina Facebook di un'amica, a un tizio mai visto che aveva scritto una sciocchezza, dicendole che era una sciocchezza. Dopo un'ora e un quarto, sul mio blog c'erano 43 commenti del tizio in questione. La gamma, (copio testualmente), andava da "Non so cosa darei per incontrarti e spaccarti i denti con un cazzotto" a "Piantala di far finta di essere magra in foto ritoccandoti in Photoshop, tanto si sa che sei una buzzicona e che fai schifo al cazzo" passando per "Prima o poi vedrai che qualcuno ti farà la pelle, spocchiosa di merda" e "Ma sai che fisicamente sei proprio un cesso di donna?".
Fino all'immancabile (ve l'avevo detto: sempre lì si finisce), "Sei una figa di legno che non ha di meglio da fare che odiare i maschi perché non trovi mai qualcuno che ti scopa". So che non mi crederete, ma giuro che i più volgari ve gli ho risparmiati.
In quel momento ero negli Stati Uniti, e ho ricevuto una serie di messaggi, tra lo scherzoso e il seriamente preoccupato, di amici che suggerivano di non tornare. Un uomo saggio che conosco, e che incidentalmente fa l'avvocato, commentò: "L'inconsapevolezza con cui la gente sull'Internet viola il codice penale, convinta di esercitare un diritto costituzionale, fa sempre tanta tenerezza". La ragione per cui vi ho raccontato questo aneddoto è che il mio sito ha i commenti moderati. Che, tecnicamente, significa che qualunque commento lasciato diventa visibile al pubblico solo dopo che l'ho autorizzato. Avrei dovuto censurare il maniaco del giorno, anche solo per non rischiare la tendinite cliccando 43 volte su "approva il commento"? Forse sì. Ma io ho una convinzione. Anzi, due.
La prima è che quelli davvero pericolosi non passino due ore su Internet a dirti con nomignoli variabili quanto ti ucciderebbero. Mi rendo conto che è un'affermazione rischiosa, e che la smentita potrebbe consistere nel ritrovarmi sotto casa Mister 43 Commenti che cerca di farmi nella vita vera ciò che argomenta virtualmente io meriti. Ma, davvero: voi ve lo vedete Mark David Chapman che, invece di aspettare con una pistola sotto al Dakota Building, si mette a insultare John Lennon sulla sua pagina Facebook?
Sarò un'illusa, ma credo che quel gigantesco bar che è la rete faccia da
sfogatoio a molte aggressività che, al 40º commento, sono già troppo affievolite per mettersi a cercare un'arma e fare appostamenti. Nel 2011, Chapman avrebbe aperto il gruppo Facebook "Quelli che vogliono Lennon morto", qualche associazione di genitori si sarebbe indignata, e la cosa sarebbe finita lì.
La mia seconda convinzione, che rende l'esempio di Chapman non casuale, e che, appunto, si tratti di fan. Fan irrisolti, fan con infanzie problematiche, fan con vite vuotissime, ma pur sempre fan: come altro chiamare gente che si prende il disturbo di leggere tutto ciò che scrivi e di notificarti ogni volta quanto non gradisce la tua scrittura? La ragione per cui ho cliccato 43 volte approva per quel tizio, (e un numero minore di volte per altri detrattori un pochino meno ossessivi), mentre lascio molto spesso in sospeso commenti riassumibili in "Sei la più brava di tutte nonché bellissima nonché alta e bionda", è che il culto della personalità mezzo demolizione e molto meno stucchevole di quello a mezzo lusinga.
Altrimenti detto: mi piace la rissa. Mi tiene in esercizio. E' il modo in cui evito di avere paura di tornare a casa da solo in una strada buia.
È il mio allenamento alle risposte molto più offensive delle offese appena ricevute.
Ognuna reagisce come vuole, naturalmente, con diverse sensibilità e preoccupazioni.
Zoe Williams del Guardian trasecola perché ha letto un commento in cui, a una che parlava della propria dieta, il tizio diceva una cosa tipo "Se ti taglio gli arti vedrai come perdi peso". Io proprio non riesco a credere che un amputatore da "Silenzio degli innocenti" perda tempo a rivelare il proprio piano nei commenti di un blog, ma magari mi sbaglio io. Ognuna reagisce come vuole: Anna North di Jezebel dice che gli uomini si permettono su Internet livelli di aggressività che non oserebbero sfiorare nella realtà, perché in rete non riconoscono l'interlocutrice come essere umano. Sarà. Io ho l'impressione che siano ragionevolmente certi della mancanza di reazione e, come tutti i bambini maleducati, se ne approfittino.
L'altro giorno uno sconosciuto mi ha fatto delle avances. Avrà avuto ottant'anni. Ho riso: "Ma per cortesia, lei potrebbe essere mio nonno!". Si è rabbiosamente risentito, e mi ha dato della stronza urlando finché non ho svoltato l'angolo. Probabilmente ero la 50ª cui si proponeva quella mattina, e la prima ad avergli risposto. Eravamo per strada, non su Internet.

Guia Soncini


Testimonianze delle blogger

Elasti scrive il blog “nonsolomamma

L'altra mattina mio marito mi ha telefonato in ufficio. "Elasti, hai visto il blog?". Aveva una strana voce. "No, perché?". "Il commento 27, anonimo. Forse dovresti cancellarlo". Da cinque anni ho un blog in cui racconto di noi, di un marito barese economista marxista, di tre figli maschi, di me, delle mie ansie da prestazione e di inadeguatezza, di quanto è difficile ma anche divertente, tenere i pezzi insieme senza perdere il senno. Da cinque anni la nostra vita, in versione un po' fumetto un po' sit-com, è in piazza, alla mercé dei passanti virtuali. Commento 27: "Sei solo una zoccola e tuo marito un gran cornuto". Aveva ragione lui, con la sua strana voce: forse dovrei cancellarlo. Per pigrizia e per una interpretazione distorta della libertà di espressione, permetto ai visitatori - amici, lettori occasionali, feticisti della famiglia numerosa, pazzi - di lasciare tracce senza filtri né censura. Periodicamente qualcuno mi insulta. Perché sono fedigrafa, perché non mi occupo abbastanza dei miei figli e sono scellerata, perché me ne occupo troppo e sono rimbecillita, perché ho assunto una baby-sitter e sono una sporca borghese, perché vado a una manifestazione e sono una sporca comunista, perché non ho gli occhi blu e le gambe da fenicottero che pure mi piacerebbero tanto. Un tempo, un commento malevolo poteva funestare una giornata. Poi ho imparato che la rete, come il mondo, e piena di provocatori rigorosi. Non meritano telefonate in ufficio la mattina, nè i nostri mal di pancia né la nostra rabbia. E c'è un solo modo per scoraggiarli: ignorarli. Proprio come si fa con i bambini maleducati.

Michela Murgia, scrive sul blog con il suo nome

Si rassegni chi ha l'impressione di essere perseguitato dai molestatori della rete: in Internet c'è almeno un troll per ciascuno di noi, ma il modo per arginarlo non può essere quello di applicare al Web, le categorie del controllo sociale che siamo abituati a considerare normali a computer spento. Chi ha un blog, sa che ci sono tre modi per cercare di dominare i lati oscuri dell'anonimato in Internet; il primo è di natura poliziesca e tende ad aumentare i livelli di tracciabilità dei commentatori, obbligandoli al rilascio di dati personali, che però si rivelano quasi sempre falsi. Il secondo è di natura censoria e prevede l'approvazione previa di ogni singolo contributo alle discussioni, con un dispendio enorme di tempo. Il terzo è l'esistenza di una comunità di commentatori, che applica per tacito accordo una serie di buone prassi, tese a isolare il molestatore. Questa modalità, nota anche come "Non dare da mangiare al troll", sulla lunga distanza è la più efficace, ma richiede una fiducia nella capacità della rete di auto-regolamentarsi che i novizi di Internet spesso non possiedono. Davanti al commento violento, si sentono minacciati come se ci fosse un ladro con passamontagna davanti alla porta di casa. L'ipertrofia e la misura delle cose sul Web, sia nella quantità di informazioni disponibili, sia nella mole di interazioni che è possibile sviluppare attorno a ciascuna di esse, sia nei registri di linguaggio, che spesso prevedono toni che nella vita reale, nessuno di noi userebbe in una discussione a fine cena.

Loredana Lipperini scrive il blog Lipperatura

In sette anni di blog sono stata invitata a spararmi un colpo in testa e ad andare in palestra perché ho il culo sceso. Le mie fotografie sono state ritoccate a colpi di Photoshop facendo sì che la mia testa troneggiasse sopra il corpo di una porno poliziotta, di una madre badessa, di una scrittrice nuda, di una punk con elemento fallico tra le braccia. Sono stata definita vecchia, bigotta, incapace, sciatta, mafiosa, isterica. E, soprattutto, censuratrice del libero pensiero. È la dura legge dei troll, cui nessuno sfugge, e le blogger ancor meno: perché chi interviene su un blog per interrompere la conversazione, ha lo scopo di portare il discorso su se stesso e su quel che pensa e scrive, (questo fa un troll), e nutre la curiosa convinzione che una donna non potrà respingerlo, ma dovrà tollerarne pazientemente le intemperanze. In effetti, per un po' tollero: ma al decimo richiamo pubblico e alla quarta mail privata, metto in moderazione per la salvaguardia del dibattito che si sta svolgendo. Ed è qui che il troll sbotta, e parte a caccia dei simili sottoposti allo stesso trattamento, (su altri blog o su Facebook): l'unione fa la forza, e moltiplica l'insulto. Prevenzione? Impossibile: perché il troll non è il ragazzino smanettone della vulgata: fra i miei, posso annoverare scrittori e uffici stampa di trasmissioni tv. La difesa? Il consiglio migliore è quello della nonna: don't feed the troll, non nutrirlo, non rispondere, renderlo trasparente. A dire il vero, c'è stato un giorno in cui stavo per denunciarne due fra i più affezionati, dopo che un'amica giurista, esaminando con orrore la documentazione, mi aveva consigliato di farlo. Sono arrivata sulla porta della stazione di polizia. Sono tornata indietro. I troll chiedono attenzione, con maggior o minor intensità a seconda della patologia, (perché in moltissimi casi di patologia si tratta, e non di complotto organizzato). Denunciarli sarebbe dargliene troppa. Ignorare, ragazze. E resistere.


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