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sabato 25 ottobre 2014

Liberismo e Liberalismo per Benedetto Croce.

La formula economica del liberismo, ha comuni il carattere e l'origine con quella politica del liberalismo, e al pari di essa deriva dalla concezione, di sopra chiarita, immanente e storica della vita. Alla pretesa autoritaria di determinare innanzi come gli uomini debbano politicamente pensare e comportarsi, risponde di tutto punto la pretesa di determinare allo stesso modo in economia, per esempio, il prezzo delle cose, il "giusto prezzo": medievale l'una e l'altra, se anche si riaffaccino in ogni tempo, anche nei nostri, che, dopo quanto è successo nel mezzo, sarebbero da reputare alquanto lontani dell'evo medio ; e l'una e l'altra si oppongono, liberalismo e liberismo.
Si accompagna ad essi, nel dominio della scienza, la formula della libera ricerca e della libera discussione, ossia il concetto che la verità non è qualcosa di bello e fatto, ma un perpetuo farsi, non è una cosa ma un pensiero, e anzi è il pensiero stesso. Gli storici mostrano come tutte codeste e altre libertà analoghe e congiunte, abbiano preso coscienza di sé e come si siano venute formando e affermando in istituti giuridici lungo l'età moderna.
Nessuna difficoltà, dunque, fino a quando ci si restringa a riconoscere l'operare di un medesimo principio, nelle varie sfere della vita. Ma la difficoltà si fa innanzi non appena al liberismo economico si dia valore di regola o legge suprema della vita sociale ; perché allora esso vien posto accanto al liberalismo etico e politico, che è dichiarato altresì regola e legge suprema della vita sociale e ne nasce di necessità un conflitto. Due leggi di pari grado in pari materia sono, evidentemente, troppe : ce n'è una di più. Tranne il caso che le si dimostri tutte e due fallaci, una delle due deve assoggettare o, per dir meglio, risolvere in sé l'altra ; e se tale risoluzione è operata da quella delle due cui spetta di diritto il primato o l'esclusività, bene ; se dall'altra inferiore, si ha un caso di tentata usurpazione.
Ora per l'appunto questo è accaduto quando al liberalismo economico è stato conferito il valore di legge sociale, perché allora esso da legittimo principio economico, si è convertito in illegittima teoria etica, in una morale edonistica e utilitaria, la quale assume a criterio di bene, la massima soddisfazione dei desideri in quanto tali che è poi di necessità, sotto questa espressione di apparenza quantitativa, la soddisfazione del libito individuale o di quello della società intesa in quanto accolta e media di individui.
Questi legami del liberismo con l'utilitarismo etico sono noti, come è noto che in una forma di esso, resa popolare dal Bastiat, l'utilitarismo si sforzò di idealizzarsi in una generale armonia cosmica, quale legge della Natura o della divina Provvidenza.
Lasciando da parte la filosofia del Bastiat, che se non propriamente criticata nel suo fondamento logico, certamente ora non solo è abbandonata ma dimenticata, (e bisognerebbe non dimenticarla come tipica forma di un errore atto a risorgere), nell'indebito innalzamento del principio economico liberistico a legge sociale, è la ragione onde è parso che quel principio stesso dovesse esser negato.
Infatti, alla soddisfazione meramente utilitaria, si contrappone come necessità superiore l'esigenza morale ; alle medie della soddisfazione utilitaria, al quantitativo più o meno esteso e generale, il qualitativo, ossia il qualitativamente morale. Né vale, per uscire dall'impaccio, venir delimitando le sfere di quel che è da lasciar fare e di quel che non è da lasciar fare, perché anche questa posizione del problema è fallace al lume dell'etica, la quale ignora o rifiuta il concetto del "lasciato", del permissivo e del lecito. Tanto vero che, quando ci si prova a eseguire in concreto quella delimitazione, le due sfere si confondono e si vede che o tutto o niente è lecito.
La difficoltà si scioglie col riconoscere il primato non all'economico liberismo, ma all'etico liberalismo e col trattare i problemi economici della vita sociale, sempre in rapporto a questo. Il quale aborre dalla regolamentazione autoritaria dell'opera economica, in quanto la considera mortificazione delle facoltà inventive dell'uomo e perciò ostacolo all'accrescimento dei beni o della ricchezza che si dica ; e in ciò si muove nella stessa linea del liberismo, com'è naturale, posta la comune radice ideale.
Ma non può accettare che beni siano soltanto quelli che soddisfano il libito individuale e ricchezza solo l' accumulamento dei mezzi a tal fine. E più esattamente, non può accettare addirittura dal suo punto di vista, che questi siano beni e ricchezza, se tutti non si pieghino a strumenti di elevazione umana. La "libertà", di cui esso intende parlare, è indirizzata a promuovere la vita spirituale nella sua interezza e perciò in quanto vita morale.
Ciò posto, il problema configura per il liberalismo, nel determinare, secondo luoghi e tempi e nel caso dato, non già se un certo provvedimento sia "liberistico", (meramente o astrattamente economico), ma se sia "liberale"; non se sia quantitativamente produttivo, ma se sia qualitativamente pregevole, non se la sua qualità sia gradevole a uno o più, ma se sia salutare all'uno, ai più e a tutti, all'uomo nella sua forza e dignità di uomo.
Può darsi - anzi così è - che in questo esame il liberalismo approvi molte o la maggior parte delle richieste e dei provvedimenti del liberismo, ai quali tanti benefici deve la moderna civiltà ; ma esso li approva non per ragioni economiche, sebbene per ragioni etiche e con queste li sancisce. Per le stesse ragioni, respinge o restringe, in altri casi, certe altre richieste che, sotto nome o specie di libertà, ostacolano la libertà o per usare anche noi questa volta metafore quantitative, per una libertà più piccola la libertà più grande.
Il che non è poi negazione, ma inveramento del liberismo e tutt'al più, è negazione della morale utilitaria, di cui il liberismo si lasciò in passato e si lascia ancora talvolta contaminare. Del resto, quel che noi procuriamo di presentare in chiari termini critici, si può dire riconosciuto dagli stessi economisti, sia pure in forma poco critica e poco rigorosa, i quali, (tranne qualche fanatico, tranne qualche parabolano, tranne i propagandisti popolari che hanno bisogno di concetti semplicistici e di frasi ad effetto), hanno sempre ammesso che il principio del "lasciar fare e lasciar passare" sia una massima empirica e non si possa prenderlo in modo assoluto e bisogni limitarlo.
Senonché il limite e qui inteso come qualcosa di posto ab extra e, come tale, contraddittorio al concetto che si vuol così limitare ; onde o il concetto stesso ne esce distrutto o il limite viene rigettato. Il limite vero è quello interno, che non è più limite del concetto, ma è il concetto stesso approfondito e come dicevamo, inverato.
Se i provvedimenti e ordinamenti economici che il liberalismo disapprova e combatte, sono quelli soltanto che si oppongono allo svolgimento e progresso morale, ad essi non possono esser così giudicati se non in concreto, ne discende che tutte le dispute teoretiche in proposito sono astratte e mancano di consistenza e solo valgono le dispute pratiche quali si svolgono e si concludono nella pienezza effettiva della vita.
Le dispute teoretiche si aggireranno, per esempio, sul campo che sia da lasciare all'attività degli individui e quello in cui si deve esercitare l'azione dello Stato ; ma, economicamente, che cosa è lo Stato se non gli individui stessi in certe forme di associazione e come si può determinare il campo degli uni e quello dell'altro ?
Passando a considerare in concreto, la disputa ridiventa quella circa il carattere di un dato provvedimento, se sia liberale o illiberale, moralmente buono o cattivo. Si aggireranno, per dare un altro esempio, su due diversi e opposti sistemi economici, il liberalistico e il socialistico, e sulla preferenza da accordare all'uno o all'altro ; ma dove sono poi, nella realtà concreta, quei due sistemi economici separati e opposti? Quale ordinamento liberistico non è da dire in qualche parte socialistico e all'inverso ?
Dunque anche qui passando all'intrinseco, la disputa ridiventa di buono e cattivo, di meglio e di men bene e di peggio nel rispetto civile e morale e ben si potrà, con la più sincera e vivida coscienza liberale, sostenere provvedimenti e ordinamenti che i teorici dell'astratta economia, classificano come socialisti, e con paradosso di espressione, parlare finanche, (come ricordo che si fa in una bella eulogia e apologia inglese del liberalismo, quella dello Hobhouse), di un "socialismo liberale".
Una seria opposizione di principio al socialismo, è soltanto quella che oppone all'etica e politica autoritaria, che è nel suo fondo l'etica e politica liberale. Ma di ciò si è discorso di sopra.

Benedetto Croce




sabato 11 ottobre 2014

Fare soldi con i soldi. Numismatica amore mio !

Il denaro ha da sempre rappresentato uno dei principali moventi dell'uomo. Prima in forma di moneta metallica, poi come banconota, è stato un mezzo per trasmettere valore, (intrinseco per il metallo e fiduciario per la banconota), di mano in mano attraverso i millenni e attraverso i confini.
Le banconote però oltre al valore economico è monetario, innegabilmente ne possiedono anche uno artistico e storico. Le tecniche con le quali vengono stampate, le innovazioni adottate per ridurre al minimo le possibilità di contraffazione e le grafiche sempre ricercate, le portano di diritto ad essere annoverate tra le più alte forme d'arte.
Per gli appassionati di numismatica rappresentano inoltre dei "frammenti di storia", attraverso i quali è possibile ricostruire l'evoluzione non solo della moneta ma anche della società. I personaggi storici che campeggiano sui biglietti sono sempre tra i più importanti del paese in cui la moneta circola, dandoli così lustro e importanza ; Alessandro Volta, Galileo Galilei e Raffaello vennero per esempio impressi sulle lire italiane, ponendoli quasi a guardia e a garanzia del valore delle banconote del nostro paese.
Guido Crapanzano, uno dei più grandi esperti di numismatica
internazionale, ricorda ancora con un sorriso la casualità che lo portò ad affacciarsi e ad appassionarsi al mondo del collezionismo di banconote: "Circa 60 anni fa, mentre sfogliavo con scarso interesse un libro di mio nonno, trovai tra le pagine una bellissima banconota da 100 lire del 1940. Il colpo di fulmine fu immediato e da allora cominciai ad appassionarmi di carta moneta".
I collezionisti di banconote sono mossi dall'aspirazione di possedere tutte le banconote del mondo, cosa praticamente impossibile visto il loro elevatissimo numero e visto che moltissime sono state già da tempo dismesse. La maggior parte degli appassionati, quindi, individua un determinato periodo storico, o area geografica su cui concentrare le proprie energie e le proprie risorse.
Così fa anche il membro dell'Accademia degli Studi Numismatici Stefano Poddi, che dice: "Ho scelto di confinare la mia collezione entro i limiti nazionali, concentrandomi sulle diverse tipologie di banconote emesse e utilizzate in Italia, dalla prima emissione effettuata dallo Stato italiano, all'ultima banconota prodotta nel 1997, le 500.000 lire tipo Raffaello".
Il numismatico prosegue parlando della propria collezione: "Si inizia sempre dalle più comuni e, man mano che la passione prende piede, cresce il livello di rarità della banconota ricercata e di conseguenza il prezzo. Uno dei fattori che incide maggiormente sul valore è lo stato di conservazione della banconota ; le più ricercate sono quelle catalogate come FDS (Fior Di Stampa), caratterizzate dalla totale assenza di imperfezioni o pieghe sulla superficie".
Un altro particolare tipo di banconota, in grado di catalizzare l'attenzione dei numismatici, è quello che presenta errori di stampa : ricercate infatti sono le 2000 lire in cui, a causa di una mancanza di colore nelle rotative della zecca dello Stato, il volto severo di Galilei non si vede ; oppure la moneta bimetallica da 1000 lire del 1997 in cui, nonostante la Germania fosse stata unificata da ormai otto anni, ancora sono visibili i confini che separavano la parte est dalla parte ovest.
I prezzi sono molto più variabili che in altri campi del collezionismo, tanto che si può andare dalle poche decine di euro fino a raggiungere le diverse migliaia. Il maggior prezzo mai corrisposto per potersi assicurare una moneta italiana è stato di 50.000 euro versati pochi anni fa, per una rarissima banconota da 500 lire emessa nel 1880 dalla Banca Toscana di Credito.
La storia delle banconote, avendo da sempre mantenuto un percorso parallelo a quello dell'uomo, è costellata di curiosità, particolarità e leggende che rende il loro collezionismo ancora più interessante ; in molte occasioni infatti, le banconote sono state utilizzate alla stregua di mezzi pubblicitari o di propaganda, se non addirittura come il veicolo per messaggi molto più personali.
Proprio quest'ultimo fu il caso di un incisore tedesco che nel 1923, al culmine dell'iperinflazione che fece crollare il valore del marco, incise un messaggio d'amore per la sua fidanzata sulla lastra utilizzata per la stampa delle banconote.
Anche l'artista pop James Rizzi, nel 2008, venne chiamato a elaborare una nuova grafica per la banconota da 10 euro che, successivamente alla prematura scomparsa dell'artista nel 2010, venne messa in produzione dalla Banca Centrale Europea per un totale di 409 esemplari. Interessante esempio di propaganda antiamericana è anche il dollaro fac-simile stampato dai tedeschi e dalla RSI presumibilmente nel 1944 : sul retro riportava la frase "Le promesse americane sono sempre state vane, sono balle belle e buone, sono bolle di sapone (come questa banconota)".
Per quanto le preferenze circa le banconote, siano soprattutto legate ai gusti personali e agli interessi storici ed economici del collezionista, i due numismatici convengono sulla scelta di quello, che secondo loro, è il miglior esemplare mai creato in Italia. "La banconota a cui sono più affezionato è senza dubbio la 500.000 lire tipo Raffaello Sanzio, in cui l'autoritratto dell'artista urbinate attira l'attenzione dei collezionisti per la finezza dei tratti sul fronte della banconota, mentre sul retro viene rappresentato un suo affresco situato in Vaticano, la Scuola di Atene" dice Poddi.
"Oltre che per l'oggettiva bellezza" aggiunge Crapanzano, "queste 500.000 lire possiedono anche un innegabile valore storico, in quanto costituiscono l'ultimo lavoro portato a termine dal maestro incisore Trento Cionini che per oltre quarant'anni, con il suo bulino, ha impreziosito le lastre con cui poi venivano stampate le banconote".
Con l'abbandono della lira e l'introduzione della moneta unica europea, molte cose sono cambiate ; la qualità della produzione di banconote ha subito un'ovvia contrazione, per via della necessità di uniformare gli standard produttivi, provocando nei collezionisti e negli appassionati di questa forma d'arte tascabile, un inevitabile storcere di nasi.
Molti invece ricordano con affetto e nostalgia la lira, moneta che ci ha accompagnato per quasi 140 anni ; sia che la si trovi esposta in una teca di cristallo appese al muro, o dimenticata e dispersa tra i cuscini di un vecchio divano, i volti dei grandi italiani impressi su di essa ci sono così familiari, da sembrare vecchi amici mai dimenticati.

Una curiosità
La Cina è stato il primo paese a utilizzare banconote di carta. Nella città di Chengdu, già durante il regno della dinastia Song del Nord (960-1127) ve ne erano in circolazione. Marco Polo, nel 1276, durante uno dei suoi viaggi, scoprì l'utilizzo delle banconote di carta.

On-line






domenica 5 ottobre 2014

Caro amico ti scrivo ... ma non so più come si fa.

Ho scoperto di non saper più scrivere. E forse è una scoperta che avete fatto anche voi. Non mi riferisco alla scrittura come alla mia professione, ad articoli, post in Internet, libri, rubriche, che a fatica riesco ancora a fare, anche se gli occasionali lettori di questa pagina potrebbero dissentire.
Non so più scrivere lettere, biglietti, dediche a mano oltre il "con simpatia", "auguri", "grazie" e la richiesta familiare di scriverli, quasi sempre preceduta dal "fallo tu che dovresti essere lo scrittore di casa", mi paralizza.
Datemi la tastiera di un computer e, come dolorosamente sanno i miei colleghi di "Repubblica" e di "D", costretti a comprimere e tagliare le mie sterminate composizioni, posso scrivere all'infinito. Datemi un foglio di carta e una biro e il micidiale blocco dello scrittore mi assale.
Stiamo, tutti, disimparando a scrivere. Se non sono appunti frettolosi appiccicati con la calamità al frigorifero, del genere letterario tipo, "la minestra è nel microonde" o "sono dal dentista", non scriviamo quasi più nulla a mano. E dunque non spediamo, e non riceviamo, lettere.
"Poco dopo aver cominciato una relazione con un uomo, ci dovremo separare per qualche tempo e provare il desiderio di scriverli - scrive Lisa Bono, critica letteraria del Washington Post - ma mi sono bloccata. Un SMS mi sembrava ridicolmente offensivo, da ragazzina. Una e-mail troppo brutale e impersonale. Una lettera mandata per
posta mi metteva ansia : come sarebbero suonate le mie parole recapitate dopo vari giorni, meno spontanee, troppo artificiose e ricercate ? Come sarebbe stata letta un anno o dieci anni dopo?".
Il risultato, racconta Lisa che ha recensito un delizioso libro sul tramonto della corrispondenza postale, fu che non li scrisse. Lui, da bravo maschio suscettibile e vanitoso, si offese, si pensò dimenticato e la storia d'amore finì nel silenzio.
Quando è stata l'ultima volta che il postino vi ha recapitato una lettera scritta a mano, una busta che non contenesse un catalogo di ferramenta, una fattura, una bolletta, una brochure? Mesi? Anni? Da quanto tempo non ne scrivete o imbucate una? Il servizio postale americano non distingue, non può farlo, tra una missiva d'amore e la comunicazione della banca che vi sollecita un pagamento.
Ma anche sommando tutta la corrispondenza cosiddetta di "prima classe", dunque non ciarpame promozionale, abbonamenti, pacchi, il volume di lettere consegnate è crollato negli anni. Oggi sono recapitate 30 miliardi di lettere all'anno in meno rispetto 20 anni or sono, soltanto negli Stati Uniti. 30 miliardi.
Ho cassetti e portapenne pieni di magnifiche stilografiche a inchiostro, che compro nella speranza che quel pennino d'oro, quelle cartucce o calamai gonfi di deliziosi colori, mi seducano e mi convincano a scrivere una lettera. Riposano tutte, defunte nelle incrostazioni che richiederebbero pazienti pulizie.
Oscar Wilde, che aveva la fobia per francobolli e servizi postali, almeno le scriveva, non disponendo di pc o tablet. Le buttava dalla finestra della sua casa di Chelsea, a Londra, nella speranza che un passante le raccogliesse e le inoltrasse per lui.
La rovente corrispondenza amorosa fra Anais Nin e Henry Miller, sarebbe inimmaginabile se fosse stata condotta via posta elettronica o Facebook, "mi piace/non mi piace".
La anonimità dei caratteri dei programmi di scrittura, la perfetta freddezza delle stampanti, non potranno mai restituire i tremori e le esitazioni della penna sulla carta, il calore della mano che tracciava le parole. Sentimentalismi, naturalmente. Ai bambini delle elementari, almeno qui nell'Hotel America, non si insegna più la calligrafia oltre al minimo indispensabile per scarabocchiare geroglifici e segni cuneiformi.
Non gli servirà, dicono. E se a volte si abusava del servizio postale, come nel 1914 quando i genitori di una bambina di quattro anni, Charlotte May Pierstorff, la spedirono ai nonni, (da allora è illegale inviare per posta esseri umani), la nostalgia delle lettere che mia moglie mi scrisse da un suo viaggio in Cina, mi ritorna.
Come a lei torna il ricordo delle lettere d'amore che le scrivevo da ragazzo. Andarono perdute in uno dei nostri tanti traslochi. Per fortuna.


Vittorio Zucconi

mercoledì 1 ottobre 2014

Orizzonte rosa. Le nostre borse parlano di noi.

Un aspirante attrice, senz'arte né parte, si presenta al provino per un
film. Il regista la fa accomodare: "Mi mostra cosa ha nella borsa?". "Nella borsa?". "Sì". Perplessa, lei va a prendere la borsa, appesa all'attaccapanni. "Tiri fuori a caso un oggetto è poi mi racconti cosa ci fa, perché è lì, che cosa le ricorda". Lei inspira, espira, fa un risolino nervoso, dichiara: "Sa, non c'è niente di straordinario" e comincia a estrarre pezzi della vita, da quella borsa appoggiata sulle sue ginocchia.
Un portamonete, un portacipria, una mela, un anello troppo impegnativo per essere indossato, la cartolina di un'amica suora che ha deciso di sposarsi, pastiglie per l'insonnia, la fotografia del fidanzato che dorme, un libro, una spilla, un'armonica. Ogni oggetto esce inanimato e acquista consistenza, forza, fascino e storia nelle mani e nelle parole della ragazza, che ha occhi grandi e lo sguardo sognante di chi schiude per la prima volta lo scrigno del tesoro.
La borsa di una signora è un luogo curioso e conturbante. Banale e misterioso insieme. "Via le mani di lì! È un posto privato!".
Credo che i miei figli pensino che lì dentro possa esserci qualsiasi cosa: caramelle, pennarelli, un gatto, un Kalashnikov, il Santo Graal. Tutto è possibile, dentro la borsa di una signora.
Dopo 15 minuti, il provino finisce. Lei si alza, saluta, riprende il suo cappotto e se ne va.
La borsa però, resta lì, nuovamente appesa all'attaccapanni. "Ehi, la ragazza ha dimenticato la sua borsa!", grida il regista. "No, non ce l'aveva". Quella borsa, con il portamonete, il portacipria tutto il resto, non era della ragazza, così come non era della ragazza tutta la vita, vibrante e inventata, che ne era uscita.
Lei, con la sua stoffa acerba di attrice consumata, si chiamava Emilie Muller ed era la protagonista dell'omonimo cortometraggio in bianco e nero, che vidi la prima volta al cinema, una ventina di anni fa.
Mi è tornata in mente, questa bellissima storia di borse, di vite degli altri, di oggetti nascosti capaci di aprire squarci luminosi su esistenze anonime, quando ho letto di un'indagine condotta da un grande magazzino londinese secondo cui in media, (su che campione?), La borsa di una donna, al netto di contanti e telefonino, contiene un valore di 1200 sterline, circa 1400 euro.
Già, tutti lì dentro, sottobraccio. Perché, pare ci si trovino, tra le altre cose: una sciarpa, un profumo e un siero di bellezza, ognuno da 60 euro circa, un ombrello, degli occhiali da sole, (che, a ben guardare, sono accessori meteorologicamente incompatibili), una spazzola, un mascara, un rossetto è un tablet.
"Come ti permetti di ravanare tra le mie cose?" Sottraggo il mio tesoro dalle grinfie di mio figlio di mezzo, improvvisamente galvanizzata dal ricordo della borsa delle meraviglie altrui, raccontata da Emilie e dalla nuova consapevolezza del valore medio dei nostri forzieri a tracolla.
Schiacciata tra la fantasiosa Emilie e la sofisticata signora londinese, o l'urgenza di toccare anche io con mano il mio tesoro. Ci trovo briciole di biscotti, fazzoletti di carta appallottolati, scontrini sbiaditi, due lucine intermittenti per la bicicletta, un ragno molliccio di gomma rosa, una salviettina un tempo umidificata, il bollettino per pagare la refezione
scolastica, l'orario della palestra, un assorbente, una chiavetta USB, un cioccolatino, un fondotinta, una matita per gli occhi, un burro di cacao, Spiderman e Darth Vader.
Le nostre borse parlano di noi. Di quanto siamo ricche, dentro e fuori,
di cosa ci piace e di cosa ci affligge. Possiamo fingere di essere quel che vogliamo ma lì dentro veniamo inchiodate a noi stesse. Forse è solo per salvare la faccia che le teniamo sempre chiuse e che ci siamo inventate che sono sacre e inviolabili.
Il prossimo passo sarà dimenticarla su un attaccapanni a caso, afferrarne un'altra per sbaglio, piena di ombrelli e occhiali da sole, e fingere di essere chi non siamo, almeno per lo spazio di un provino.


Claudia “Elasti” De Lillo