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sabato 6 giugno 2015

Orizzonte rosa. Donne soldato, vittime senza cicatrici.

Fu un martello che costrinse Diana a rivelare il segreto che aveva divorato la sua vita.
Era un qualsiasi fine settimana, nella sua California, quando il fidanzato le chiese di accompagnarlo in un Home Depot, uno di quei cavernosi, infiniti empori di tutto. Fra le dozzine di reparti, era proprio la sezione dei martelli che lui puntava, e quando la bella, ordinata esposizione di quegli attrezzi le si parò davanti, il panico l'assalì.
Cominciò a sudare, a sentire il cuore vacillare, a perdere il controllo delle gambe. Svenne. Quando si riprese, più tardi nel pronto soccorso dell'ospedale, dopo che i primi esami d'urgenza avevano confermato che non c'erano cause acute per il suo collasso, si decise a raccontare la sua storia.
Martelli erano appesi alla parete della stanza nella base americana di Bagram, in Afghanistan, quando il capitano che comandava il suo reparto l'aveva afferrata per il collo, l'aveva rovesciata sulla scrivania alla quale lei lavorava, e con tutto il peso dei suoi 90 chili per un metro e ottanta l'aveva violentata. Di tutte le schegge di ricordi che l'avevano trafitta in quel momento, erano i martelli visti alle spalle di quell'uomo che si erano fissate nella memoria. E funzionavano da detonatore del panico.
Diana aveva fatto quello che gli istruttori, i superiori, i regolamenti le avevano insegnato prima di arruolarsi in Marina. Era andata la notte stessa all'ospedale della base. Il medico di servizio aveva annotato le ferite, le ecchimosi, le abrasioni. Non c'erano dubbi, aveva concluso. Era stata oggetto di un rapporto sessuale completo e forzato.
Poi arrivò il momento della scelta. C'erano due possibilità, le fu spiegato : la "denuncia per apertura di un'inchiesta", con indagini, deposizioni, interrogatori ed eventuale rinvio a giudizio davanti a una corte marziale. Oppure la "denuncia senza inchiesta", riservata alle autorità militari, anonima, affinché conducessero ricerche interne, riservatissime e mai pubbliche. Dopo un anno tutta la documentazione sarebbe stata distrutta. La notte dei martelli si sarebbe dissolta nel nulla.
Diana scelse la seconda strada. Adorava il proprio lavoro, sognava di entrare nelle forze speciali. Sapeva che se la sua denuncia fosse divenuta pubblica forse, soltanto forse, il capitano che l'aveva buttata sulla scrivania sarebbe stato radiato e condannato, ma che certamente, senza alcun dubbio, la sua carriera nella US Navy sarebbe finita a 24 anni. E per mesi e mesi lei sarebbe stata al centro di interrogatori, contro interrogatori, e esami e contro esami.
Ma la ferita non si sarebbe più rimarginata. Il capitano era sempre lì e aveva cominciato a tormentarla con note di demerito nella sua cartella, ritardi al lavoro, disordine nell'uniforme, scarsa collaborazione, quelle mille punture di vespa che distruggono la carriera e una vita.
Dalle compagne, alle quali non aveva detto nulla, non potevano venire solidarietà né sostegno. Tutte sanno, nessuno parla.
Resistette per tre mesi, Diana, poi chiese di essere rimpatriata. Il medico che l'aveva esaminata nella notte dei martelli firmò la sua domanda di congedo per ragioni di salute, senza specificare. Lei raccontò in giro di aver un nodulo sospetto al seno, che non era vero.
Tornata in California, cominciò la vita del silenzio. Non disse nulla al fidanzato e neppure ai genitori. Le visite frequenti all'ospedale erano spiegate con i controlli al seno, per non rivelare che in realtà vedeva uno psichiatra. Aveva trovato lavoro come cameriera, ma quando al ristorante dovevano fare lavori e comparivano i carpentieri con i martelli, lei si dava malata. Le pareti della sua casa erano spoglie, perché al fidanzato era stato proibito di appendere quadri.
Oggi, si tormenta nel pensiero di avere sbagliato a scegliere la "denuncia senza inchiesta", insieme con altre dozzine di donne ex militari nelle sue condizioni. Ha detto la verità alla famiglia, alle amiche, al fidanzato e con il loro aiuto si sta diplomando infermiera.
Vuole lavorare in un ospedale militare, nei reparti dove trattano le vittime senza cicatrici o protesi, di una guerra che continua a martellare l'anima, anche quando risparmia i corpi.


Vittorio Zucconi

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