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domenica 14 febbraio 2016

Modi di dire 24

Si dice . . . “strani compagni di letto”

Questo modo di dire viene usato per sottolineare il formarsi di strane, inedite o paradossali alleanze dovute all'imprevedibile
accadere dei casi della vita. Il motto ha origine da un passo dell'opera teatrale La Tempesta, scritta da William Shakespeare nel 1611, che recita: “La sventura costringe l'uomo a fare la conoscenza di ben strani compagni di letto”. La popolarità della frase è stata rilanciata dal grande successo della commedia hollywoodiana che portava questo titolo, uscita nel 1965, diretta da Melvin Frank e interpretata da Gina Lollobrigida e Rock Hudson.


Si dice . . . “piantare grane”

L'espressione “piantare (oppure procurare o far scoppiare) grane” significa arrecare noie, seccature o anche più semplicemente sollevare questioni fastidiose da risolvere. Alla base di questo diffuso modo di dire starebbe un'insieme di due immagini diverse. La “grana” va intesa come una particella di sabbia o altra sostanza granulosa, cioè il classico corpuscolo che, infilato in un ingranaggio, lo fa inceppare. Il verbo “piantare” deriva dal latino planta, (inteso come pianta del piede), e si riferisce al gesto dei contadini che stando chini sulle piante dei piedi conficcano le piantine nel suolo. L'immagine evoca dunque un ostacolo che col tempo può diventare più grande.


Si dice . . . “ di punto in bianco”

La locuzione si usa per indicare un'azione che si svolge senza preparazione, all'improvviso, possibilmente generando un effetto sorpresa, (“così di punto in bianco non saprei che fare”). L'origine dell'espressione va cercata nel gergo militare e, in particolare, in quello della balistica. Anticamente infatti si definiva “tiro di punto in bianco” il tiro di artiglieria senza elevazione, con la linea di mira in orizzontale, senza impostare l'apparecchio di mira con alcun numero, ossia in bianco. Troviamo questo modo di dire persino in un passo del Dialogo sopra i due massimi sistemi di Galileo Galilei. Va osservato che anche in francese esiste un'analoga espressione, (de but en blanc, de pointe en blanc), in uso in letteratura, ad esempio in un passo di A la recherche du temps perdu di Marcel Proust.


Si dice . . . “essere amico del giaguaro”

Si riferisce ad un sedicente amico la cui lealtà e fedeltà è dubbia o tutta da dimostrare. L'espressione nasce da una vecchia barzelletta che racconta di un uomo che descrive una presunta battuta di caccia al giaguaro ad un amico, il quale però lo contraddice al tal punto che l'uomo, esasperato, chiede all'altro se sia più amico suo o del giaguaro. Nell'uso comune questa frase ironica è entrata grazie al varietà-quiz tv “L'amico del giaguaro ” condotto da Corrado con Gino Bramieri, Marisa Del Frate e Raffaele Pisu trasmesso alla Rai dal 1961 al 1964. Il titolo faceva a sua volta riferimento a un film del 1958 con Walter Chiari.


Si dice . . . “essere un re Tentenna”

L'espressione “essere un re Tentenna”, o anche un “sor Tentenna”, vuol dire essere una persona sempre insicura ed esitante, dubbiosa e indecisa nelle decisioni da prendere. L'epiteto ha origine negli anni del Risorgimento. Fu Domenico Carbone, scrittore e patriota piemontese, a definire così in uno scritto satirico del 1847 Carlo Alberto di Savoia, re di Sardegna, a causa delle sue incertezze nel concedere le riforme richieste a gran voce dai moti liberali del tempo. Lo scritto, diffuso clandestinamente, divenne popolarissimo e costò l'arresto e in seguito l'esilio al suo autore, ma pare abbia avuto un ruolo importante nell'indurre il sovrano a concedere nel 1848 lo statuto detto poi Albertino, costituzione anche dell'Italia unita fino al 1948.


Si dice . . . “carità pelosa”

Fare una “carità pelosa” indica fare elargizioni e concessioni in apparenza caritatevoli, ma in realtà per proprio tornaconto. Secondo lo scrittore dell'800 Guerrazzi, l'espressione risale ad un aneddoto storico: il capo normanno Guglielmo il Bastardo, nel 1066 chiese l'appoggio di papa Alessandro II per conquistare il trono d'Inghilterra, su cui era seduto il sassone Aroldo. Il pontefice gli inviò lo stendardo di San Pietro da esibire in battaglia, nonché alcuni peli della barba del santo. Guglielmo vinse la guerra e ricompensò il pontefice con notevoli concessioni alla chiesa oltremanica. Secondo altri storici, invece, la locuzione viene da un'espressione assai popolare nell'Ottocento, anche in letteratura: “Avere il pelo sul cuore”. Ossia essere insensibile.


Si dice . . . “i giorni della merla”

Per “giorni della merla” si intendono il 29, 30 e 31 gennaio che, secondo antiche convinzioni, sarebbero i giorni più freddi dell'anno. Non è ben chiara l'origine di questa locuzione. La tradizione la attribuisce alla leggenda secondo la quale, per ripararsi dal gelo, una merla e i suoi pulcini, al tempo della livrea bianca, si rifugiarono in un comignolo per tutti i 3 giorni uscendone tutti neri a causa della fuliggine. E tali rimasero. Ma nel '700 era diffusa la convinzione che la “merla” in questione, fosse un grosso e pesante cannone che potè essere trasportato oltre un fiume soltanto in quei giorni perché il corso d'acqua era gelato. Inoltre, il fatto che nell'antico calendario romano gennaio avesse 29 giorni e che gli altri 2 siano stati aggiunti da Giulio Cesare, da a questi giorni un valore speciale.


Si dice . . . “essere male in arnese”

L'espressione “essere male in arnese”, oggi poco usata, vuol dire essere messi male sotto vari aspetti: trovarsi per esempio in cattive condizioni economiche, di salute, psicologiche ecc. Ma in origine, con questo modo di dire, ci si riferiva soltanto al modo di abbigliarsi, ossia essere malvestiti, mal equipaggiati ecc. “Arnese” era infatti un termine un tempo usato con il significato di indumento, veste, abbigliamento. E ciò è ben testimoniato da un passo de “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni che descrive l'abbigliamento di Renzo Tramaglino: <<... in arnese da viaggio, con la sua cintura nascosta sotto il farsetto, e il coltellaccio nel taschino de' calzoni ...>>


Si dice . . . “andare a Patrasso”

La locuzione “andare a Patrasso”, un tempo molto usata, vuol dire finire male, fallire, andare in rovina. Ma la città greca citata nell'espressione non c'entra niente. In realtà la frase deriva dallo stravolgimento popolare della traduzione latina di una frase della Bibbia, “ire ad patres”, ossia “andare a raggiungere gli antenati”, insomma morire. Ma perché questa deformazione è finita su Patrasso? Per la popolarità che questa città, oggi la terza per popolazione della Grecia, ha avuto dalle nostre parti. Fu infatti colonia veneziana dal 1408 al 1458, quando venne presa dai turchi. Dopo numerosi tentativi di riconquista compiuti da veneziani e genovesi, Patrasso fu poi ripresa dalla Serenissima nel 1687 e mantenuta fino al 1715.


Si dice . . . “organizzare una tavola rotonda”


Organizzare (o tenere) una tavola rotonda” significa indire una riunione o una conferenza su un preciso tema, alla quale prendono parte esperti chiamati a confrontare opinioni diverse e in cui a nessuno dei partecipanti è riservata una posizione di privilegio. L'origine di questa immagine va ricercata nella tradizione della Tavola Rotonda, (Table Ronde), istituzione fondata da Re Artù, leggendario monarca dei Bretoni di cui si narra nei poemi cavallereschi francesi, a partire dalla metà del XII secolo. Nella mitica reggia di Camelot, i nobili cavalieri di Artù si disponevano intorno a una grande tavola di forma rotonda, simbolo di assoluta uguaglianza e di impegno per ciascun partecipante ad eccellere in ogni impresa d'arme.

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