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sabato 17 settembre 2016

Apoliticismo per Benedetto Croce.

La società non lascia di raccomandare e rammentare ai suoi poeti, ai suoi filosofi e storici di guardarsi dalle passioni e dalle tendenze della politica. La verità universale, la pura umanità non si ottiene, infatti, nelle opere loro se non col superare le particolari passioni e tendenze, quali sono per eminenza quelle che si raccolgono sotto il nome di "politica".
Né è possibile, nell'atto di affisarsi all'eterno oltrepassando gli interessi pratici particolari, favorire o promuovere uno o l'altro qualsiasi di questi; o possibile solamente in apparenza, mercè un inganno più o meno destramente condotto, che, se giova talvolta i fini del politico, copre di rossore e di sdegno il volto di chi riverisce la castità del bello e del vero, e sente, con quel fatto o con quell'invito, offesa alla dignità morale e minacciate le radici stesse della propria vita migliore.
E il cosiddetto poeta o filosofo o storico, che si acconcia ad eseguire quel gioco di apparenze e a maneggiare quell'inganno, in quanto fa ciò non è niente di quel che asserisce di essere, ma è anche lui un politico, o, piuttosto, asservito ai politici, e però in cattiva coscienza, in contraddizione col presunto suo carattere di libero spirito, con l'ufficio che ha preso ad esercitare, con l'implicito giuramento che ha dato a se stesso e alla società di non venir meno a quel suo proprio dovere.
Salvo il caso, (che bisogna pur salvare, perché "infinita è la schiera degli sciocchi"), della sciocchezza in certo modo innocente che non sa bene quel che fa, sempre in fondo a simili illecite operazioni si ritrova qualche motivo di comodo e di utile personale, un timore di danno e una speranza di vantaggio da conseguire; e si può, dunque, in presenza di quei prodotti pseudo artistici e pseudo scientifici, sempre domandare, con sicurezza di ben domandare, ai loro autori: "Che cosa ne avete avuto in cambio? Quanto vi è stato pagato?
Il filosofo, lo storico, il poeta non chiede e non riceve, perché non gli si può dare, nessuna "cosa in cambio"; e lancia il suo strale d'oro contro il sole, e guarda e gode e più non vuole, o vuole soltanto che gli altri godano con lui e a gara lancino altri simili strali lucenti.
E un'altra raccomandazione o esortazione la società rivolge ai cultori del bello e del vero, che è di astenersi, in quanto persone pratiche, dal partecipare alla politica attiva, o, perlomeno, dal pretendere in essa a una parte importante e dirigente.
Benedetto Croce
Tra le attitudini e capacità che bisogna coltivare, tra le esperienze che bisogna raccogliere nell'una e nell'altra cerchia, c'è una diversità che par quasi opposizione: che gli uni, i cultori del bello e del vero, mettono in relazione idee e disposano immagini, e gli altri, i politici, maneggiano e accordano e contrappongono uomini e passioni e interessi, sicché la forza degli uni è la debolezza degli altri.
L'uomo della contemplazione e della meditazione, tirato nell'agone delle lotte politiche, può rendere scarsi servigi e talvolta fare qualche disservizio; e, a ogni modo, quelli scarsi servigi non compensano la società del danno che le viene dal distogliersi di lui e dal lavoro per il quale è nato e al quale è preparato.
Questa seconda raccomandazione ed esortazione non ha il carattere assoluto della prima, perché gli uomini della contemplazione e della meditazione, non sono astratti spiriti contemplanti e meditanti, ma uomini, e se la linea fondamentale della loro vita è indirizzata a quelle opere, non vi si esaurisce: oltrechè la società stessa e lo Stato li trattano come loro componenti e cittadini, li chiamano a rendere servigi in pace e in guerra, e con ciò li eccitano a partecipare in certa misura ai dibattiti e contrasti politici e a dividersi nei vari partiti in azione, sia pure come gregari o addetti a lavori ai quali sono più particolarmente adatti, a lavori di "parole" e ad "opere d'inchiostro", come diceva messer Ludovico, (il quale, del resto, dovè governare la Garfagnana), cioè non mai di pseudo poesia e di pseudoscienza, che sarebbero cose poco pulite, ma di legittima è sana pubblicistica politica.
Ma quella raccomandazione, assoluta, di impedire che la politica contamini le opere dell'arte e della scienza, e quest'altra, relativa, di restringere in modesti confini la propria partecipazione all'azione politica, vogliono forse inculcare a quegli uomini l'indifferenza per la politica, l'apoliticismo? e potrebbero essi, da loro parte, accogliere questa ulteriore richiesta, e soddisfarla?
Affinché si potesse soddisfarla, si dovrebbe poter escludere dal proprio interessamento una forma della vita, la politica, distaccandola dalle altre con le quali è organicamente connessa. Ma l'uomo intero accoglie nel suo animo l'interessamento per tutte le forme della vita, e per tutte batte il suo cuore; e il filosofo e lo storico le indagano tutte nelle loro relazioni e nella loro viva dialettica, e il poeta risente e ritrae la pienezza della vita.
Se una di esse tagliassero fuori, se da una di esse si straniasse l'animo loro, le altre tutte, per effetto di quella mutilazione, intristirebbero ai loro occhi e si disseccherebbero nel loro cuore. L'amore per un essere umano, l'affetto per la famiglia e per i figli, e insieme sollecitudine per l'ambiente sociale e morale e politico, nel quale quelle creature amate e noi stessi respiriamo.
E quando anche accada che nel travaglio della passione si cerchi vanamente di fuggire alcuna di quelle forme, e per stare nel caso nostro, di aborrire dalla politica, questo stesso sforzo di ripulsa è interessamento e non disinteressamento e fa presente quello che si vorrebbe fuggire; come la negazione che il filosofo, errando, tenti di taluna di esse, è nell'atto stesso una riaffermazione, e il poeta che canta quella sospirata fuga dalla politica ne è ossesso, e al pastore di Erminia, nel suo albergo solitario, tra le acque e i rami, stanno pur sempre dinnanzi alla mente le "inique corti".
Non ci sarebbe altro modo, dunque, di disinteressarsi della politica che quello di disinteressarsi insieme di tutte le altre parti della vita; e perciò non la semplice apolitia, ma la totale apatia. Senonchè l'apatia totale è morte, e morte altresì della fantasia e del pensiero, della poesia e della filosofia, le quali non in altro hanno la loro materia che nelle passioni della vita, sole che muovono a fantasticare, a definire le idee, a determinare la verità della storia e finanche, seppure in modo meno immediato, a costruire concetti delle scienze e gli schemi delle matematiche.
Le passioni e il dolore: "Ahi, dal dolor comincia e nasce l'italo canto", esclamava il Leopardi; e quel dolore che ispira pensieri non meno che canti, non è il diretto tormento egoistico che immeschinisce, ma l'affanno e il dolore per la società e per l'umanità.
Vero è che gli atti teorici di rappresentazione e di comprensione, sommettono a se le passioni appunto perché le abbassano a materia; ma metterle sotto di sé e mettervisi di sopra non è mettersene fuori, ma anzi prenderle in sé, domate: non è un disinteressarsene, ma un tanto interessarsene da averle ridotte in proprio possesso.
In effetto, con quella esortazione e raccomandazione non si vuole già inculcare l'apoliticismo, ma, come si dovrebbe dire esattamente, il simpoliticismo, l'interessamento per la politica come per ogni altra parte della vita umana, non per fare della politicante e cattiva poesia, filosofia o storiografia, e neppure per compiere azioni di politica pratica alle quali non si sia chiamati, ma unicamente per convertire l'energia di quel sentimento in pura poesia, filosofia e storiografia; il che non avrebbe effetto se non ci fosse quell'energia di sentimento, se lo spirito del poeta, del filosofo e dello storico fosse indifferente, che vuol dire vuoto.
La riprova dell'esattezza di questa interpretazione è nel disprezzo in cui la società stessa tiene gli scrittori effettivamente apolitici, chiamandoli verseggiatori, meri letterati, stupidi esteti, frigidi compilatori di notizie, pedanteschi filosofanti dai pallidi concetti estenuati, e via per simili complimenti; e nel carattere che si suol assegnare di decadenza alle età storiche, nelle quali siffatti scrittori predominano e rari e quasi singolari eccezioni sono quelli politici o "simpolitici", come fu nell'Italia della Controriforma e del seicento.
Conclusione di questo discorso che mi è parso opportuno fare.
Quando uno scrittore che ha serietà di pensiero, un poeta che ha serietà di sentimento, vi dichiara come spesso accade di udire dichiarare: "Io sono affatto apolitico", bisogna rispondere: "Voi non vi conoscete bene". E quando la medesima dichiarazione ve la fa un poeta privo di sentimento e perciò di genuina fantasia, un filosofo e uno storico privi di intimo pathos e perciò di penetrazione nella realtà umana, uno sterile combinatore di forme e di formole, bisogna rispondergli per contrario: "Voi vi conoscete molto bene!"


Benedetto Croce da “La religione della libertà”

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