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sabato 15 ottobre 2016

Dario Fo: addio al vate dei radical chic.

È stato l’ultimo vate dei radical-chic. Con Dario Fo se n’è andato uno degli ultimi esponenti di un certo modo di creare arte e fare “cultura”. Rivoluzionario più sul palcoscenico che nella vita, Fo è stato un lucido protagonista di certi ambienti - che in Italia hanno fatto scuola, creato mode e imposto censure - per cui la “politica” veniva prima della “cultura”, che si legittimava solo sulla base di un “messaggio”.
Non ho mai creduto alla storia dell’“arte per l’arte”, che considero onanismo. Ma Fo e altri suoi illustri colleghi, a partire da Giorgio Strehler, sono stati l’esempio dell’eccesso opposto. Lo chiamavano “teatro civile” e, in effetti, l’arte di Fo ha trasudato passione civile in ogni suo aspetto. Ma era anche teatro “di sinistra”, con tutte le conseguenze del caso. Tra queste il conformismo culturale, che poi ha allontanato un sacco di gente dal mondo della cultura. Certo, valeva allora quel che vale oggi: non è colpa solo della sinistra italiana se il mondo della cultura si schiera sempre a sinistra; una grossa mano gliel’hanno data i moderati, che hanno fatto della propria ignoranza un vanto spacciandola per pragmatismo.
Il dissacrante Dario Fo, spaccò i botteghini e fece cassetta anche oltre i propri meriti artistici, che c’erano e non erano pochi, cavalcando alla grande i luoghi comuni e gli stereotipi che anche lui aveva contribuito a creare. E che si imposero a tal punto da far sembrare a molti anche il trash più becero (e l’Italia ne ha prodotto tantissimo) una boccata d’ossigeno.
Già: l’impegno a tutti i costi, solo in una direzione, e la satira a
bersaglio unico hanno stancato tantissimi. Persino Fantozzi che, costretto a subire cineforum pesantissimi, se ne usci col famigerato: “Per me è una cagata pazzesca”. Allo stesso modo fecero tanti italiani che preferivano le cosce della Bouchet e le tette della Fenech a certe pieces teatrali.

Tuttavia, non si può negare a Fo una grande coerenza e sarebbe azzardato ridurre a una “posa” il suo anticonformismo, molto più genuino del suo spirito rivoluzionario: quando i suoi “compagni” hanno preso il potere dopo aver buttato alle ortiche sin troppi ideali, lui si è rifugiato alla corte di Beppe Grillo per dire dei “borghesi” di oggi che vanno a braccetto con gli ex comunisti del Pd quel che diceva dei “borghesi” di ieri che votavano Dc, spesso senza turarsi il naso (per quelli di oggi non c’è problema: non hanno più l’olfatto…).
E viene quasi da rimpiangerlo, ora che il trash, non quello divertente di certi film vecchi e ingenui, ma quello becero della vita quotidiana, è diventato costume e detta le proprie regole ai media e alla cultura. Ora che gli attori, complice una crisi senza precedenti, lasciano il posto nei teatri a soubrette non più telegeniche e a cabarettisti televisivi, ridateci Fo, Streheler e, visto che ci siamo, il “fascista” Albertazzi. Aridatece i puzzoni. Meglio la loro “pesantezza” e la loro retorica di tanta, avvilente pochezza.


Saverio Paletta

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