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sabato 8 ottobre 2016

L'emigrazione colpisce tutti, i calabresi di più.

Buongiorno a tutti. Ieri ho letto il rapporto Migrantes 2016, sul quale mi sarei aspettato qualche riflessione di colleghi (o, meglio ancora, di esperti), perché stavolta i “profughi” siamo noi.
L’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, ha registrato, al 31 dicembre 2015, altri 174.516 italiani che vivono fuori dal paese rispetto al 2014.
Questo numero, già di per sé preoccupante, è una goccia nell’oceano dell’emigrazione 2.0 dell’era post industriale e post benessere: lo stesso rapporto sottolinea che, sempre alla fine dello scorso anno, gli italiani iscritti in questa anagrafe sono 4.811.163 in tutto. Il 7,9 per cento della popolazione. L’unica consolazione è che circa il 70% di questi ha approfittato alla grande della cittadinanza europea e solo il 30%, che si è trasferito fuori continente, può essere considerato migrante

Chi emigra di più

Fin qui il “macro”, che, a dirla tutta, non è esaltante. In compenso, il “micro” è peggio, anche se magari può sembrare consolatorio scoprire che dal Sud si emigra un po’ meno, visto che le regioni col maggior aumento di “espatriati” recenti sono la Lombardia e la Valle d’Aosta, col 6,5 e il 6,3% in più. Se la passano male anche l’opulenta Emilia Romagna (6% in più) e il ricco Veneto (5,7% in più). Però non sarei così catastrofico: queste quattro regioni non solo fanno parte di un blocco territoriale che continua ad essere ricco ma è geograficamente avvantaggiato, perché inserito a pieno titolo, grazie alla maggiore vicinanza e a una rete di collegamenti formidabile, nella Mitteleuropa (e, al riguardo, il rapporto fa capire che le mete di molti sono la Svizzera e la Germania). Detto altrimenti, per tanti il tutto si risolve in un semplice cambio di residenza non troppo diverso dall’emigrazione interna che ha “piagato” il Sud e cambiato il Paese fino agli anni ’70.

Il sud sta peggio

I guai, invece, sono tutti di noi meridionali, calabresi in particolare,
perché, grazie all’insipienza delle classi dirigenti, subiamo anche la geografia come un castigo. Per noi, a causa della fatiscenza delle infrastrutture e dell’insufficienza dei collegamenti, anche spostarci di regione significa ancora emigrare allo stesso modo dei nostri nonni e bisnonni. E non finisce qui, visto che i dati non vanno solo letti, ma devono essere interpretati. Infatti, se la fuga dal Nord è una fuga dal declino, che rivela impietosamente i limiti della rete delle piccole e medie imprese (già vantata come motore dell’Italia e ora solo emblema della nostra vocazione al nanismo) la fuga dal Sud è fuga e basta. E da tutto.

Il mio provincialismo

Un vizio contratto in anni di redazioni cosentine mi spinge, al pari di tanti altri colleghi, a concentrarmi sulle mie vicinanze immediate, quasi come se il resto non esistesse. Il mondo finisce a Buffalora, per dirla con Tiziano Sclavi, e la nostra Buffalora è compresa tra il Pollino e lo Stretto. La mia, in particolare, finisce un po’ più su: all’altezza della Sila Greca e del Savuto. Lo chiamiamo giornalismo. In realtà è provincialismo di grana grossa, che ci impedisce di parlare alla maggior parte dei nostri corregionali e concittadini: quella che vive fuori Buffalora, possibilmente all’estero.

Calabria sempre maglia nera e a Cosenza è peggio

A proposito di provincialismo, ecco il dato più macroscopico: Cosenza è la provincia da cui si emigra di più, subito dopo il territorio di Roma e provincia. Le agenzie e i giornali online non hanno riportato il dato preciso. Però c’è il dato assoluto della Calabria che fa paura perché ci regala qualcosa di peggio della consueta maglia nera, a cui siamo abituati: dal 2006 sono 393.118 i calabresi che hanno fatto le valige, con o senza passaporto e comunque verso l’estero. Sono poco più del 20% della popolazione residente e pesano sull’anagrafe molto più dei 422.556 lombardi (meno del 5% su un totale di 10 milioni), e dei 475.629 campani (meno del 10% su una popolazione di circa 6 milioni). Ci fregano i lucani coi loro 124.214 migranti (un quinto della popolazione) e ci tallonano i siciliani con 730mila migranti (circa l’11 e rotti percento su poco più di 5 milioni).

Riflessioni

Mi torna in mente la battuta fatta nel 2008 da Carlo Vulpio, il giornalista che allora faceva il tifo per il pm De Magistris: «Ogni anno emigrano dal Sud circa 25mila abitanti: è come se sparisse una città».
Lui lo faceva per alimentare la caccia alle streghe e l’affannosa - ma doverosa - ricerca di un colpevole, finalmente identificato nelle nostre classi politiche, del degrado del Mezzogiorno. Ma il dato resta pesantissimo: ogni anno spariscono, giusto per insistere nei parametri provinciali, due Amantea, quasi una Rossano, una Corigliano o una Rende, una Castrovillari intera più pezzi del suo hinterland o due Castrolibero intere. In tre anni, viene fagocitata una Cosenza. E, va da sé, i migranti possono poco nel saldo delle nascite, visto che dei 5 milioni di stranieri residenti solo una fetta minuscola è in Calabria, ne scappa come e quando può e fa numero più nei centri d’accoglienza che nei cantieri e nei campi, dove lavora spesso a condizioni disumane.
I nostri profughi non hanno più la valigia di cartone, ma il trolley e il case per il laptop. Spesso parlano bene una lingua straniera (e se no la studiano: l’altra sera ho notato a Quattromiglia l’insegna della British School che annunciava il corso di spagnolo a fianco di quello, tradizionale, d’inglese). È più che un sospetto che scappino da una classe dirigente, politica ed economica, che stenta a parlare correttamente e agisce anche peggio.
Possibile che, tra un morto ammazzato e l’ennesimo scandalo, nessuno abbia avuto il tempo e la voglia di scovare la vera notizia in questo rapporto? Ho letto male io oppure i principali quotidiani calabresi hanno “ammazzato” la notizia, che avrebbe meritato ben altre riflessioni, nelle pagine nazionali e interregionali? Quasi come se questo dramma, sbattutoci in faccia dalla Caritas, non ci riguardasse in prima persona.
Evidentemente, contano di più altri sondaggi: quelli pro e contro Oliverio, ad esempio. E mi fermo qui. Chiudo con un quesito: mentre sciorino questi dati, apprendo anche degli ultimi guai giudiziari dell’ex presidente Scopelliti, e la notizia ci sta tutta. Possibile, invece, che nessuno processi mai le responsabilità politiche in tempo utile?


Saverio Paletta

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