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sabato 10 dicembre 2016

Cosa resterà degli anni 80?

Secondo Paolo Morando, giornalista, scrittore e vicedirettore de Il Trentino, ci siamo addormentati alla fine degli anni ’70. Un sonno rapido e inquieto, da cui ci hanno destato gli spari dei terroristi e, per sfuggire a quei rumori terribili, ci siamo tuffati in altri frastuoni: quelli delle discoteche, che iniziavano a prendere piede come replica ingenua e provinciale di quel che capitava in America (che grazie alle gesta di Tony Manero tornava ad essere la terra promessa, come di lì a poco avrebbe cantato un imberbe Ramazzotti), del consumo e dell’edonismo.
Ma la sbornia del disimpegno sarebbe continuata per tutto il decennio successivo. A metà del quale, con raro acume critico, Stenio Solinas aveva già schizzato un dipinto corrosivo e ironico dell’Italia convertitasi al culto del privato nell’ormai quasi introvabile Mostri degli anni ’80. Giusto per dire che tra lo champagne, le griffe e i lustrini c’era più di qualcosa che non andava.
Con Dancing Days, edito da Laterza, nel 2009, Morando era riuscito a beccare in tempo utile il trentennale del riflusso. Ora, con il suo recente ’80. L’inizio della barbarie, uscito sempre per i tipi di Laterza, tenta di sincronizzarsi sul trentennale della fase “calda” degli ’80, in cui il costume e il malcostume dell’epoca avevano preso una forma compiuta, e, se possibile, di anticipare il quarantennale di quello che anche lui definisce «il decennio più lungo del secolo passato».
Missione riuscita? Sì. E non era una missione facile: la nostalgia canaglia, con la complicità della memoria selettiva che fa da palo, è dietro l’angolo e ci frega sempre. Perciò gli anni ’80 sono i paninari, Madonna, l’elettropop dei Duran Duran, che aggiornarono in maniera contraffatta il mito dei Beatles. Gli anni ’80, ricorda ancora Morando, sono gli anni del lusso per tutti, dei giocattoli innovativi (alzi la mano chi non ricorda l’Allegro Chirurgo, il Cubo di Rubik e i videogame di massa, che anticiparono il boom dell'informatica con i Commodore, gli Atari e lo Spectrum), dei telefilm (e qui scendono i lacrimoni: Il mio amico Arnold, Magnum P.I., Supercar, A-Team e via ricordando) con cui l’emittenza privata insidiava il monopolio della Rai.
Ma gli anni ’80, ammonisce infine Morando, sono anche il decennio in cui gli istinti più bassi e fino ad allora repressi della società italiana emergono di botto. Ed ecco che, tolta la carta dorata, ci si accorge che il cioccolatino era un po’ tossico. Anzi, tolto il tappo, ci si accorge che il liquore (sì, avete capito, quello dello spot Milano da Bere, del compianto Marco Mignani) era un po’ adulterato. In senso metaforico, va da sé.
Ed ecco che ’80 dipana sotto gli occhi del lettore una trama costruita a mo’ di inferno dantesco: dai primi conati antimeridionali, propugnati dalle lighe - in particolare quella veneta - non ancora Lega, alle pulsioni razziste contro la prima ondata migratoria dei vù cumprà, il libro è una discesa negli inferi dell’inconscio collettivo italiota, finalmente libero di esprimersi al meglio, cioè al peggio.
Per capirci meglio: non che certe cose - il qualunquismo, gli atteggiamenti beceri, la volgarità, l’individualismo amorale al pari del familismo, l’ignoranza esibita come cifra stilistica - non fossero parte integrante del nostro costume, prima. Ma, se si è ben compreso il pensiero di Morando, questo becerume era tenuto a distanza dal linguaggio pubblico. Gli anni ’80, per capirci ancora meglio con un esempio, sono gli anni in cui il non sono razzista ma, inizia a diventare sono razzista punto. E questa gioiosa corsa all’estremo vale per tutti i complessi fattori della vita sociale.
Ad esempio, le mode giovanili: l’irruzione dei paninari su una scena dominata fino a qualche anno prima dalle tribù politicizzate (i fascisti, i comunisti, gli indiani metropolitani, gli autonomi ecc.) cambia il paradigma. Sempre in peggio, perché la vacuità dei riti di aggregazione spinge più giù. E non è detto che la dinamica, in questo caso, sia del tutto spontanea. Anzi. Non a caso, Morando tira fuori dal box di quei particolari effetti speciali che solo una memoria molto lucida può realizzare, tale Davide Rossi. Personaggio interessantissimo, che fu negli ’80 l’ideatore de Il Paninaro, rivista cult dei galletti dell’epoca, Rossi è riapparso nel 2009 come superlobbista, legato politicamente a Gabriella Carlucci, allora deputata del Pdl, come autore di una proposta da tradursi in legge che avrebbe mirato a limitare l’uso del web. Fin troppo facile l’ironia di Filippo Facci (l’anti Travaglio che demolì Di Pietro) su di lui: «Il tuo passato è rintracciabile, ma non ti ha impedito di raggiungere incarichi da cravatta scura».
Ovviamente, non tutti sanno che tra Rossi, che scrisse per i paninari ieri sulla testata di Edifumetto (la casa editrice di Lando, del Tromba e delle pornovampire), e Facci c’è in comune Berlusconi. In senso politico per Rossi, in senso editoriale per Facci, già firma di punta del giornale e ospite occasionale degli studi Mediaset.
E qui veniamo a un altro punto piccante di ’80, che Morando sbriga con grande abilità, senza cadere nella trappola facile dell’antiberlusconismo: la cifra degli ’80, secondo l’autore, sarebbe stata il berlusconismo. O meglio, il berlusconismo mediatico, che fu alla base di una trasformazione importantissima nell’informazione di massa.
Un altro esempio per capire: prima, nei ’70, c’erano le tv e le radio libere, che si arrangiavano con pochi mezzi e in maniera amatoriale per strappare qualcosina al monopolio pubblico; dopo, a partire dagli ’80 e grazie alla geniale intuizione di Berlusconi arrivarono i network, che trasformarono l’emittenza libera in emittenza privata. Questo passaggio ha inciso sul costume in maniera spettacolare perché ha contribuito a sdoganare tutto ciò che la Rai, bacchettona nonostante l’avvento di Arbore e Boncompagni, teneva chiuso a chiave. Il berlusconismo politico, in questa particolare chiave di lettura, sarebbe stato la prosecuzione di quello televisivo. Cioè il tentativo di proseguire nell’Italia d’inizio millennio la mitologia mediatica degli ’80.
Nessuna dietrologia in tutto questo: i manipolatori ci furono anche prima (quanti, nei terribili ’70, cavalcarono l’onda dell’extraparlamentarismo per passare poi al sinistrese e approdare infine al politicamente corretto?). Cambiava la modalità: prima era l’ideologia, poi sarebbe stato il riflusso, oggi è il nichilismo prèt-a-porter. Fin qui nulla di nuovo, insomma.
Ma la morale di ’80 è chiarissima ed apprezzabile proprio perché è priva di preconcetti ed è animata da uno spirito critico sereno e da una robusta documentazione: l’Italia perse i freni inibitori in quel decennio. Allora il Paese smarrì lo spirito civico, la tolleranza e la solidarietà. Allora le barzellette che si raccontavano al bar di nascosto fecero capolino nei media e, da lì, tracimarono nel dibattito pubblico.
Ci si ferma qui. Perché il resto lo dice benissimo Morando.
Montanelli liquidò l’evoluzione (involuzione, se si preferisce) storica dell’Italia tra i ’70 e gli ’80 con una delle sue immagini efficacissime: fu il passaggio dagli anni di piombo a quelli di latta. Poi nei ’90 sarebbe arrivato il fango. E ora? Morando attenderà qualche altro anniversario per scriverne, o vorrà deliziarci con un libro di storia in progress bello come ’80?

Saverio Paletta



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