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sabato 18 giugno 2016

Il politico bluffa, l'imprenditore no.

I critici del libero mercato asseriscono che la sovranità del consumatore è fittizia, perché le preferenze espresse nel mercato sono ottenute artificialmente mediante strumenti di persuasione occulta quali, in primo luogo, la pubblicità. Essi ne deducono, il più delle volte, la necessità di un maggior intervento statale nell'economia, per consentire la soddisfazione delle genuine esigenze del pubblico.
L'argomento della manipolazione costituisce, tuttavia, un boomerang: lungi dal centrare il suo bersaglio d'elezione, (il mercato), esso si ritorce contro l'alternativa proposta dai critici, la democrazia. È vero, naturalmente, che l'informazione del consumatore è lungi dall'essere perfetta. Egli non conosce, infatti, tutte le caratteristiche di un articolo prima di averlo acquistato, (intendo parlare, ovviamente, delle caratteristiche per lui significative, giacché è evidente che, anche dopo l'acquisto e il consumo, egli non conoscerà tutte le caratteristiche dell'articolo nel senso letterale), anche se dispone - già in questa fase pre-sperimentale - di alcuni dati minimi non accessibili all'elettore democratico, (egli può rendersi conto, ad esempio, di svariate caratteristiche di un'automobile - come la carrozzeria, la spaziosità e quantomeno a livello superficiale, le prestazioni - prima ancora dell'acquisto).
Ed è vero, altresì, che l'imprenditore può beneficiare di questa ignoranza primaria e del conseguente, inevitabile scarto, fra preferenze ex ante e preferenze ex post. In virtù della concorrenza permanente, tuttavia, il consumatore è in grado di contenere il divario fra preferenze ex ante e preferenze ex post, entro dimensioni insufficienti al conseguimento di un profitto da parte dell'imprenditore. La continuità della concorrenza permette infatti al consumatore, di sperimentare ad libitum le alternative in lizza, (minimizzando le scelte necessarie all'emergenza di preferenze ex post), e di frazionare ad libitum le sue scelte, (massimizzando le scelte necessarie al conseguimento di un profitto da parte dell'imprenditore).
Il profitto è agganciato così a una continua reiterazione delle preferenze del consumatore di modo che, nel caso di una produzione apparentemente ottimale ma effettivamente sub-ottimale, il flusso delle preferenze si bloccherebbe assai prima di questa reiterazione.
Un'impresa di mercato non ha quindi alcun interesse a bluffare, mettendo in atto politiche disoneste verso i consumatori, come ad esempio persuadere i consumatori a comprare un prodotto scadente, grazie a una massiccia campagna pubblicitaria.
Anche se un certo numero di consumatori fosse convinto dalla pubblicità a sperimentare un prodotto scadente, il bluff sarebbe ben presto smascherato e le vendite cesserebbero. Ora, è assai difficile che poche vendite iniziali, possono compensare i costi dell'investimento e del lancio, nonché i costi in termini di reputazione. È ancora più difficile, naturalmente, che esse siano sufficienti a conseguire un profitto.
Poiché, d'altra parte, la concorrenza democratica è una concorrenza fra progetti, anziché una concorrenza fra prodotti, l'elettore non fruisce neppure di quel minimo di dati di cui fruisce un consumatore in procinto di acquistare un'automobile. Come abbiamo già visto, poi, le sue informazioni sulle alternative in lizza, oltre ad essere minime in ogni caso, tendono a disperdersi piuttosto che ad accumularsi. Ne consegue che la scelta dell'elettore democratico tende ad essere, sostanzialmente, una "scelta al buio".
Inoltre, tale scelta è forzatamente concentrata sia per quanto concerne i suoi oggetti, (l'elettore non può scegliere, a sua discrezione, tutti gli articoli che lo interessano, ma è costretto a scegliere fra alcune - in genere, due o tre - linee politiche, che contengono altrettanti pacchetti di posizioni sui temi più disparati), sia per quanto concerne la sua entità e la sua durata, (votando per un candidato, l'elettore deve subire la sua leadership fino alla successiva elezione e deve "consumare" lo stock indivisibile di politiche, che quel candidato realizzerà durante il suo mandato), sia per quanto concerne gli stessi elettori, (anche se formulata dalla sola maggioranza, la scelta democratica coinvolge necessariamente tutti gli elettori, e anzi tutti cittadini, inclusi coloro che non votano e coloro che non possono votare).
Conseguentemente, l'elettorato non è in grado di quantificare le proporzioni della sua scelta al buio. Il che significa che il voto democratico è la "firma al buio di una cambiale in bianco".
Contrariamente a un imprenditore di mercato, quindi, un politico ha tutto l'interesse a bluffare. Nella misura in cui non dispone ancora - o non dispone più - del potere e può solo fare promesse, egli ha tutto l'interesse a compiacere il pubblico con le sue promesse, (l'alternativa soddisfazione-deroga si configura, a questo punto sì, come un'alternativa fra profitto e non profitto).
Ma, nella misura in cui ha acquisito il potere, egli non ha più interesse a soddisfare il pubblico. L'alternativa soddisfazione-deroga si pone ora per lui in termini diversi, vale a dire come un'alternativa fra profitto futuro e profitto presente, di modo che egli ha più da perdere che da guadagnare, dal mantenimento delle sue compiacenti promesse.
D'altra parte, una sola manifestazione di preferenza in suo favore - in una competizione in cui analogamente agli altri concorrenti, non deve esibire prodotti ma solo progetti - è sufficiente a un politico per ottenere un potere coercitivo, virtualmente illimitato per la durata di un mandato. Quand'anche, pertanto, lo smascheramento del suo bluff pregiudichi le sue chances nella mano successiva, egli può scrivere qualsiasi prezzo sulla cambiale in bianco firmatali nella mano precedente e gli elettori non possono esimersi dal pagarlo.


Riccardo La Conca da “Democrazia, mercato e concorrenza

domenica 12 giugno 2016

Ombra in giardino vi consiglio le piante giuste.

Per creare zone protette dal sole in giardino, si può ricorrere a tende e gazebo, ma anche mettere a dimora alberi che però richiedono tempo per crescere. Proprio perché si tratta di un investimento a lungo termine, che non si cambia con la stessa facilità di un arredo, la scelta va ponderata, considerando quanti più fattori possibili.
A ogni albero corrisponde una forma della chioma, che determina poi l'ampiezza della zona d'ombra proiettata e una compattezza che determinerà un'aria più o meno cupa.
Nessuno, neppure il migliore progettista, può dare garanzie di attecchimento e di lunga vita delle piante che acquistiamo, dal momento che le specie vegetali non hanno scelto spontaneamente di fissare nel nostro giardino la propria dimora.
Un buon consiglio potrebbe quindi essere quello, di studiarne sia i luoghi sia le aree climatiche d'origine, (tipo di terreno, altitudine, temperature minime e massime, precipitazioni e distribuzione di queste), e anche come esse si dispongono rispetto alle altre piante. Non sono molte numerose le specie arbustive ed erbacee, che gradiscono un irraggiamento quotidiano è senza sosta. Le piante che non necessitano di tregua sono tipicamente quelle della flora mediterranea, (che beneficiano però dell'umidità portata dall'aria marina), quelle provenienti dalle regioni desertiche, (che possiedono cicli vitali brevissimi), quelle succulente conosciute come "piante grasse", (alle quali sono dedicati speciali angoli di giardino arido e che hanno sviluppato nel corso dell'evoluzione, una serie di strategie volte all'immagazzinamento di acqua), e le sezioni di piante da fiore annuali che animano balconi e aiuole, dalle petunie alle gazanie.
Di solito le specie arbustive ed erbacee, pur cercando il sole, gradiscono la mezza ombra, perlomeno quella che nelle ore più calde allevia gli effetti dei raggi solari. Per contrastare le conseguenze di un'eccessiva esposizione, come l'appassimento precoce di foglie e fiori, siamo costretti a irrigare tutti i giorni, mentre la piantagione di uno o più alberi - compatibile con le dimensioni del nostro giardino - potrebbe aiutare le piante a vivere meglio e a esigere meno acqua. L'ombreggiamento, inoltre, riduce gli sbalzi termici diminuendo quindi le condizioni di stress.
La scelta degli alberi deriva soprattutto dalla conoscenza dei numerosi parametri climatici della zona, ma anche dall'intensità di ombra che si vuole creare: profonda e persistente oppure densa e stagionale, o ancora, leggera e luminosa? L'ampia gamma delle alberature a disposizione, consente di adottare la specie più adatta.

Per chi ama le piante sempreverdi, le conifere sono la prima opzione.
Creano zone d'ombra che mantengono le loro caratteristiche tutto l'anno e impongono la scelta di coltivare al loro piede solo specie che si avvantaggino di questa protezione e amano terreni acidi. La perdita progressiva degli aghi, forma un tappeto a reazione acida che, unito all'ombra persistente, consente la crescita solo di specie adatte, (basta osservare come il prato si diradi e sparisca e come le infestanti non riescano a crescere).
Le specie adatte alla montagna, come abeti e pini, quali cembro, nero e silvestre, si accompagnano agli arbusti resistenti al freddo con belle fioriture come rododendri, dafne e forsizie, profumati come le lavande, o dal fogliame vigoroso come conifere tappezzanti, cotoneastri, evonimi, eleagni e ligustri.
Tra le specie arboree con foglia caduca che più ombreggiano nei giardini grazie al fogliame ampio, fitto e ben sovrapposto, sono da scegliere i faggi e i tigli.
I primi sono adatti alle zone fresche di collina e alla montagna in generale, ma si adattano anche alla pianura purché siano collocati in suoli profondi e freschi, ben drenati e organici e utilizzati come esemplari singoli distanziati di almeno 30 mt da altre specie arboree.
Tra i grandi alberi capaci di donare fresca ombra, protettiva ma non troppo intensa, vi propongo due specie così generose da regalare anche i fiori, elemento ornamentale non frequente nelle grandi alberature: robinia e sofora. Hanno una caratteristica in comune che determina la formazione di un'ombra lieve: la foglia composta da numerose follicoline, le quali pur essendo dense non formano nel loro insieme una chioma molto compatta e permettono alla luce di filtrare verso il basso.
La prima, non amata nella sua forma originaria di robinia pseudoacacia per l'invadenza è l'abilità di insediarsi nelle nicchie ecologiche delle specie forestali nostrane, è stata tanto oggetto di selezione da offrire oggi un'ampia gamma di varietà sterili, incapaci quindi di danneggiare l'ambiente in cui sono inserite, in quanto non si propagano per seme. Resiste a svariate condizioni estreme, compresi i pendii, i suoli poco fertili e le lunghe estati siccitose, ma se desideriamo esemplari ben formati è meglio fornire loro un suolo profondo e ben drenato.
A chi ama la leggerezza del fogliame mosso dal vento e la bella fioritura primaverile, capace di attirare un gran numero di insetti pronubi, non resta che scegliere le robinie a fiore colorato, fra il rosa e il violetto, di dimensioni più contenute ma simili per struttura, caratteristiche ed esigenze.

Faggio
Quelli spontanei in Italia appartengono alla specie faggio sylvatica e possono innalzarsi fino a 40 mt con un diametro di 15 mt; i più vecchi, plurisecolari, superano anche i 9 mt di circonferenza del fusto. Sono ben riconoscibili anche nel periodo invernale, grazie al tronco liscio e la corteccia grigio perla, molto luminosa; in primavera le giovani foglie sono verde brillante che si scurisce con l'avanzare dell'estate. Nelle zone di pianura spesso troviamo splendidi esemplari di faggio a foglie rosse che, conservando tutte le caratteristiche sopra citate, unisce il pregio di una particolare tonalità cromatica.

Tiglio
Negli ambienti più caldi, l'ombra compatta è garantita dai profumatissimi tigli. Amano i terreni freschi e profondi ma ben drenati, tollerando meno dei faggi i ristagni idrici e sopportando invece meglio i calori estivi. Nei vivai si trovano anche gli ibridi americani, da sconsigliare perché producono al piede numerosi polloni, da eliminare non solo per motivi estetici ma perché rappresentano per la pianta una grande perdita di energia, spesa nel tentativo di riformarli dopo ogni taglio. La specie tipica italiana, tilia cordata, produce anch'essa polloni al piede, ma solo in epoca giovanile. A maturità diventa alta 25 mt e larga fino a 12. Necessita, quindi, di ampi spazi.

Robinia
La più diffusa e la più conosciuta è la robinia hispida, ma non è la sola. I suoi grappoli fioriti sono intensamente colorati ma brevi, raccolgono
un numero di fiori variabile da tre a sette. La corolla ha forma papilionacea, simile a una farfalla, tipica di tutte le leguminose. I petali, tra il rosa delicato il rosa intenso, hanno lunghezza simile, il vessillo, (il petalo superiore), è rotondeggiante, il calice è verde. Il profumo è spiccato e gradevole. Durante la fioritura è possibile sedersi sotto un albero di robinia ad ascoltare l'indaffarato andirivieni di api, bombi, vespe, e molti altri insetti.

Sofora
E' una specie molto amata dai giardinieri è poco nota al grande pubblico. Tutti conoscono la sua cultivar, (cioè una varietà), sofora japonica pendula che con la sua forma elegantissima arricchisce molti giardini storici di tutta Europa, pochi la forma originaria. Diventa un albero alto fino a 12 mt e largo 10, resistente all'arsura ma meno tollerante ai venti freddi rispetto alla robinia. Appartiene al genere sofora la specie sofora tetraptera, originaria della Nuova Zelanda, che forma un piccolo albero di 6 mt; possiede una sottospecie, sofora tetraptera microphylla alta solo 3 mt. Entrambe sono perfette per i giardini più piccoli ma sono ancora poco reperibili in Italia.

Per i giardini più piccoli vi consiglio clerodendro e albizia, alberelli che oltre ad essere dispensatori di benefica ombra, tra i numerosi pregi vantano anche quello della produzione di fiori profumati. Queste piante offrono vantaggi diversi. Il clerodendro resiste meglio al freddo, mentre l'albizia sopporta abbastanza bene la siccità e preferisce un terreno con poco calcio. Entrambi consentono la coltivazione di piante erbacee di ogni sorta. Per le dimensioni e la forma a ombrello della chioma, tutte e due definiscono uno spazio protetto e intimo.

Clerodendro
Ha dimensioni contenute, essendo alto e largo solo 4 mt. Quando raggiunge molto lentamente la maturità, crea un'ombra densa ma efficace grazie alla forma di ombrello e alle foglie sovrapposte. È ornamentale in quasi tutte le stagioni, in particolare per le pannocchie di fiori, ampie 25 cm, prodotte in quantità a fine estate, seguite da piccole bacche di colore blu piuttosto persistenti.

Albizia
E' un piccolo albero con la chioma a ombrello, alto circa 10 mt e largo fino a 8, ma spesso alto la metà nei nostri climi. Ha foglie composte, quindi la sua ombra è molto leggera. Durante l'estate si formano i fiori che assomigliano a piumini rosati, lievemente odorosi di albicocca che trasformano la chioma, vista dall'alto, in un tappeto colorato. La fioritura dura circa un mese. Deve essere posto in posizione riparata dai venti freddi.


venerdì 3 giugno 2016

Un triste compleanno per la Repubblica.

Qualche alzabandiera davanti alle Prefetture, la maxiparata militare, i consueti documentari (non si spaventino i fan dei reality e delle soap: è tutta roba destinata ai palinsesti di Rai 3, La7 e dei canali tematici, perciò la “dose” quotidiana di cattivo gusto è al sicuro anche per oggi) e quasi nient’altro. La Repubblica fa settant’anni e arriva al traguardo piuttosto malandata. E celebra questo compleanno, importante per qualsiasi signora che si rispetti, in sordina. 
Già: le Amministrative, imminenti in tutta Italia, le hanno tolto il proscenio col loro carico di volgarità degne di una sagra paesana. Come se non bastasse, la Signora Repubblica è pure minacciata da una tentata riforma costituzionale che, se attuata, ridurrà la partecipazione democratica in alcuni settori fondamentali: i referendum e i disegni di legge d’iniziativa popolare. Nata tra le passioni di una guerra civile ancora in corso, la Repubblica è dovuta crescere in fretta e assumersi le pesanti responsabilità di essere mamma di 50 milioni di Italiani poveri, riottosi e, a volte, ingrati. Più celebrata che amata, la Repubblica, che vinse per un pelo sulla delegittimata Monarchia, restò sostanzialmente indifferente alla Dc (a cui era persino, tolti alcuni illuminati vertici, indifferente lo Stato) e fu ritenuta “provvisoria” dal blocco popolare che la considerò per anni l’anticamera provvisoria per il socialismo, finché non fu chiaro che una rivoluzione bolscevica da noi era impraticabile. In compenso, l’unico partito che si definiva Repubblicano non sfiorò mai il 5% dei consensi. Eppure c’è da ammirarla, la nostra Repubblica. Per più di un motivo. Laica in un paese cattolico, è riuscita a gestire equilibri altrove impensabili per modernizzare il Paese. Ha mantenuto con discrezione il senso dell’identità nazionale a dispetto di una classe dirigente che non riusciva a parlare di Patria senza arrossire. Ha persino inglobato forze politiche e culturali legate a potenze straniere e avverse a ogni senso di appartenenza che non fosse ideologico. Dopo settant’anni così’ sfido chiunque a non avere le rughe. 
Eppure questo sottovalutato compleanno ha una sua importanza capitale, che solo le nostre istituzioni culturali riescono a sottovalutare a ad affogare nella melassa della retorica. Il 2 giugno 1946 andarono a votare tutti gli italiani, donne comprese. Il referendum sul destino dell’Italia unì gli italiani, laddove la guerra civile li aveva divisi. Si preferisce, per innata vocazione alla retorica virilista, ancora evocare l’immagine del partigiano col mitra. E si dimentica che la democrazia, quella che vota e non spara, nacque allora. Vi parteciparono in tanti. Compresi i reduci di Salò, che votarono massicciamente per la Repubblica in spregio alla Monarchia “traditrice” (anche gli sconfitti hanno una retorica, che è più virulenta di quella dei vincitori) e perché, seppure tra le bombe e tra le brutalità, un’esperienza repubblicana l’avevano avuta. Vi parteciparono i contadini del Sud, i grandi esclusi dalla politica nazionale, e gli operai delle fabbriche del Nord, che in politica c’erano entrati a spallate. L’esito di quel referendum legittimò l’Assemblea Costituente, la migliore istituzione rappresentativa (per qualità umana, spessore politico e livello culturale) che l’Italia unita abbia avuto. Ricordiamocele, queste cose. Soprattutto ora che un ex sindaco di provincia si appresta a metter mano alle istituzioni con metodi da lobbista e con una faciloneria che sarebbe sospetta persino in un amministratore di condominio. Viva la Repubblica!


Saverio Paletta