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sabato 7 gennaio 2017

Modi di dire 28.

Si dice . . . “essere una tigra di carta”

L'espressione “essere una tigre di carta”, usata specie in campo politico, definisce qualcuno che si presenta minaccioso o pericoloso, ma che in realtà si rivela un bluff, una figura inoffensiva. Si tratta della traduzione letterale di un modo di dire cinese, ed è giunto in occidente nel 1946 allorché Mao Tse-tung, allora capo dell'esercito di liberazione popolare cinese, in un intervista alla giornalista Anna Louise Strong dichiarò: “Tutti i reazionari sono tigri di carta”. Ossia apparentemente terribili, in realtà non così potenti. La metafora fu molto usata nella lotta politica in Cina negli anni del maoismo, specie con riferimento agli Stati Uniti. Entrò in uso nel mondo occidentale anche grazie alla diffusione, nel 1967, del Libretto Rosso, antologia di citazioni di Mao Tse-tung che si dilunga sulle “tigri di carta”.


Si dice . . . “aver mangiato la foglia”

L'espressione significa capire al volo, intuire una situazione, il senso di un discorso, le intenzioni altrui. Vi sono due versioni sull'origine dell'immagine: la prima è l'episodio dell'Odissea in cui Ulisse, prigioniero di Circe, si rende conto del trucco della maga per trasformare gli uomini in bestie e per essere immune dalla magia mangia una foglia donatagli da Ermes. La seconda si rifà alla cultura contadina: la foglia in questione è quella che possono divorare gli erbivori, da quando smettono di succhiare il latte materno e vengono svezzati. L'aver “mangiato la foglia”, sarebbe una rappresentazione simbolica dell'essere divenuti adulti e dunque più saggi e consapevoli di quanto accade intorno a se.


Si dice . . . “bagnare il naso a qualcuno”

La locuzione “bagnare il naso” vuol dire battere qualcuno, superarlo in bravura, nella carriera oppure in qualche altro aspetto della vita facendogli fare una pessima figura. L'origine dell'espressione, usata specie in Lombardia e Piemonte, (bagnè el nasa un, in dialetto torinese), deriva da un'antica abitudine “pedagogica” in uso nelle scuole di quelle regioni, secondo cui il maestro sollecitava l'alunno più bravo perché sfregasse, col dito umido di saliva, il naso del compagno che aveva avuto scarso profitto. Si rintraccia l'usanza nella letteratura: “... Tutti i giorni interrogazione generale. Chi rispondeva esatto e con più sicurezza era premiato con l'incarico di bagnare il naso a chi aveva sbagliato. Quel dito umido di saliva era schifoso ...” (Mario Lodi Il corvo 1971).



Si dice . . . “essere una carampana”

Il termine “carampana” viene usato in senso spregiativo per indicare una donna sciatta e volgare o vecchia e brutta. L'origine dell'epiteto risale alla Venezia medioevale. Cà Rampani era il nome dato ad alcuni stabili ereditati dal governo della Serenissima, dalla facoltosa famiglia dei Rampani e adibiti nel 1421 a ospitare l'attività delle mondane. Da allora le donne ospiti di quelle case, furono chiamate “carampane” e il termine divenne sinonimo di prostituta. Poi, nel libertino '700, le mondane giovani e belle poterono tornare ad esercitare il mestiere in centro città, mentre a Cà Rampani rimasero solo le più anziane, lì relegate come in un ospizio, e fu questo sviluppo a dare al termine il significato attuale.


Si dice . . . “ambasciator non porta pena”

Questo detto ricorda che chi reca notizie non buone non deve essere considerato colpevole di quanto comunicato e si riferisce all'antico e delicato compito dell'ambasciatore, (dal latino ambactus “servo stipendiato”). Infatti nel corso dei secoli, sono avvenute molte violazioni a quella legge non scritta che oggi si chiama immunità diplomatica, ossia considerare sacra la vita degli emissari di altri popoli che portavano messaggi, anche se spiacevoli. Tra i molti esempi ricordiamo che nel 610 d.C., lo Scià di Persia fece trucidare gli emissari bizantini venuti a proporre un trattato di pace non gradito. Solo a partire dal Congresso di Vienna, nel 1815, la diplomazia divenne professione autonoma e acquisì valore e norme giuridiche internazionali.


Si dice . . . “il lupo perde il pelo ma non il vizio”

L'antico proverbio “il lupo perde il pelo, ma non il vizio” si riferisce al fatto che per ciascuno di noi è molto difficile eliminare definitivamente le cattive abitudini e sottolinea le difficoltà che si incontrano per riuscire a superare i vizi incalliti di cui siamo dipendenti. Il detto è una derivazione del motto latino lupus mutat pilum, non mentem, (il lupo cambia il pelo, non la mente), che ritroviamo, attribuito però alla volpe, già in un testo dello scrittore di età imperiale Svetonio. Il letterato attribuiva questa frase a un allevatore di bestiame, il quale rimproverava all'imperatore Tito Flavio Vespasiano, (9-79 d.C.), di non riuscire a dominare nel tempo la propria avidità.



Si dice . . . “al di là del bene e del male”

Il modo di dire indica una persona, un fatto o un'opera, che non sono paragonabili a nulla e in un giudizio vanno collocati in una categoria a parte, in positivo o, ironicamente, in negativo. La frase fatta si riferisce ad “Al di là del bene e del male: Preludio di una filosofia dell'avvenire”, (Jenseits von Gut und Bose), saggio del 1886 del pensatore tedesco Friedrich Nietzsche, (1844-1900), considerato testo fondamentale nel passaggio del pensiero filosofico dal XIX al XX secolo. E' un violento attacco contro la morale ipocritamente accettata dai pensatori del presente e del passato che destò scalpore. La popolarità della frase fatta è stata rilanciata dall'omonimo film di Liliana Cavani del 1977, ispirato proprio alla biografia del filosofo di Rocken.



Si dice . . . “fare i conti senza l'oste”

Si riferisce a chi prende delle iniziative affrettate senza tener conto della volontà altrui e quindi di rifiuti eventuali od ostacoli posti in seguito da terzi. L'origine del modo di dire trova riscontro nelle antiche osterie, luoghi che erano assai frequentati da viaggiatori e avventori di passaggio. La gran parte degli osti era allora rinomata per l'astuzia nell'organizzare imbrogli sul conto del pasto consumato, essendo abilissimi nel sostenerli durante la presentazione della nota alla clientela. Ecco perché era ritenuto esercizio inutile per i clienti fare calcoli preventivi sul conto finale, poiché poi ci si trovava puntualmente contraddetti dall'oste, il quale sottoponeva altre voci di spesa e mandava all'aria tutte le loro previsioni.


Si dice . . . “avere i nervi a fior di pelle”

Significa essere assai sensibili emotivamente, nervosi, agitati o suscettibili. L'immagine è molto simile a quella di “a nervo scoperto”, poiché suggerisce che i terminali nervosi vengano a trovarsi assai vicino alla superficie della pelle. “Fiore” infatti – probabilmente in questo caso inteso come la parte più alta della pianta – indica la superficie di qualcosa o comunque la sua parte più prossima alla superficie stessa, come nella locuzione “a fior d'acqua”. Non a caso il termine “affiorare” vuol dire emergere, spuntar fuori. Un altro esempio del genere è la definizione “fior di latte” che indica prodotti gastronomici, (latticini, gelati), a base della parte più ricca e pannosa del latte: quella che resta in superficie grazie alla sua minore densità.


Si dice . . . “da che pulpito viene la predica”


L'esclamazione “ da che pulpito viene la predica!”, è un'espressione ironica che viene usata per screditare l'autore di affermazioni perentorie, di precetti, di indicazioni da seguire, (per esempio: “Bisogna combattere la corruzione diffusa!”, “Abbiate il coraggio delle vostre azioni!”, eccetera). Questo se chi parla è in realtà, il primo a non dare seguito a ciò che predica al prossimo. Il pulpito, (dal latino pulpitum, piattaforma), è la postazione sopraelevata da cui parlavano al pubblico gli oratori dell'antica Roma e, nell'ambito del cristianesimo medioevale a partire dal X-XI secolo, le balconate da cui sacerdoti e predicatori si rivolgevano ai fedeli con le loro omelie. Alcuni pulpiti sono autentici capolavori di architettura e scrittura.


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