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martedì 25 luglio 2017

La Massoneria compie 300 anni.

Di come si sia svolto il celebre incontro conviviale si hanno notizie frammentarie e confuse. Le certezze sono poche: la data, il 24 giugno 1717, il luogo, The Goose & Gridiron (alla lettera, L’Oca e la Graticola), una taverna londinese piuttosto popolare nei pressi della chiesa di St. Paul, e la provenienza del vino, rigorosamente italiano e imbarcato a Livorno.
Di solito, e ciò vale praticamente per quasi tutti i grandi eventi della storia, esiste un problema delle origini, che sono spesso avvolte da una specie cortina fumogena che contribuisce a creare un’aura mitica. Per la Massoneria, a dispetto della sua fama di segretezza, no. Come si è visto, si sa dove e come è nata. Se ne sanno anche i motivi, anche se non sono facilissimi da spiegare. E si sa il nome del primo gran maestro: Anthony Sayer, un oscuro artigiano londinese.
C’è da dire che i membri delle quattro logge massoniche che si fusero durante il sontuoso banchetto per dar vita alla Gran Loggia Unita, non sapevano bene cosa facessero. Né potevano: volevano solo salvare quel che restava di una tradizione plurisecolare, prossima ad essere cancellata dall’incipiente rivoluzione industriale che stava per trasformare l’organizzazione del lavoro. Finita la sostanza (quindi la trasmissione orale dei segreti del mestiere dalle bocche degli esperti alle orecchie degli apprendisti, che richiedeva strutture chiuse i cui membri erano vincolati da giuramenti) restava la forma: le logge, uniche superstiti della composita galassia delle corporazioni, delle gilde e delle associazioni di arti e mestieri.
Queste logge si erano fatte conoscere già nel medioevo perché autrici di bellissime opere architettoniche, in generale chiese e strutture militari. E, rispetto alle vecchie corporazioni muratorie, avevano una marcia in più: una spiccata vocazione internazionale.
Sul punto si è espresso con una certa efficacia Paul Naudon (1915-2001), giurista francese, studioso della Massoneria e già pezzo grosso della Grand Loge Nationale Française: le logge massoniche si distinguevano dalle altre corporazioni di muratori anche per via dei loro committenti. Che non erano i signori o le autorità civili o religiose delle città in cui operavano, ma gli ordini monastici cavallereschi, cioè i Cavalieri Templari, i Cavalieri di San Giovanni in Gerusalemme, che poi sarebbero diventati i Cavalieri di Malta, e i Cavalieri Teutonici.
In altre parole, una loggia massonica custodiva segreti militari non irrilevanti, che non potevano essere divulgati a cuor leggero. E questo spiegherebbe, se la tesi fosse confermata, il perché di tutti i giuramenti, delle parole segrete e dell’estrema riservatezza. Le altre corporazioni, infatti, erano sottoposte all’autorità del territorio, a cui dovevano fedeltà. Le logge massoniche no: obbedivano solo ai gran maestri degli ordini cavallereschi loro committenti, che a loro volta obbedivano solo al Papa.
I muratori normali lavoravano nel loro territorio. I massoni no: giravano l’Europa e andavano nei cantieri in cui li chiamavano, a costruirvi chiese e fortezze portando con sé i loro segreti. Per ribadire questa libertà nei confronti di tutti (da cui deriva l’espressione Liberi Muratori), si scelsero inoltre come protettore San Giovanni, indifferentemente il Battista e l’Evangelista.
Queste tracce storiche, ben ricostruite dallo studioso francese, aiutano a capire tante cose: dai riferimenti alla tradizione templare, che hanno motivato l’ideologia anticlericale della Massoneria più classica (sebbene il quadro di riferimento restasse cristiano), l’attitudine scientista e la fascinazione per la cultura esoterica.
Con questo po’ di tradizioni alle spalle era ovvio che i Liberi Muratori del 1717 avessero le idee confuse. Tra l’altro, nei loro ranghi c’era finito di tutto: medici, architetti e sacerdoti, presenze fisse in tutti i cantieri edili dalla fine dell’Impero Romano all’età moderna. Solo i muratori, assorbiti dal nuovo capitalismo, erano calati.
Un altro dato storico della celebre riunione del San Giovanni 1717 chiarisce questa confusione: i massoni inaugurarono la riunione con i canti della tradizione muratoria, ma tra i coristi c’era gente del calibro di Isaac Newton. Insomma, gente che contava nella borghesia che iniziava ad ascendere, e che nelle logge si mescolava con gli aristocratici da pari a pari.
Di questo problema si accorse due anni dopo Jean Désaguilier, ugonotto francese sfuggito per un soffio al massacro dei protestanti e riparato a Londra, dove era diventato uno scienziato influentissimo
grazie alla protezione di re Giorgio. Désaguillier iniziò a elaborare i concetti che qualche anno più tardi il reverendo James Anderson avrebbe trasformato in norme, contenute nelle Costituzioni e nel Libro degli Antichi Doveri. A quel punto la Massoneria, gestita da persone che nella stragrande maggioranza non avevano mai respirato cemento o visto un calcinaccio, aveva preso la sua forma: internazionalista, umanitaria, interclassista e, ciò che più contava nell’Europa ancora traumatizzata dalle guerre civili a sfondo religioso, interconfessionali. Per distinguersi dalla tradizione passata, adottò l’aggettivo speculativo: i templi da costruire, da allora in avanti, sarebbero stati solo spirituali.
La cosa era nata.
Tre secoli sono una bella tappa per un’organizzazione esaltata e demonizzata senza soluzione di continuità. Il compleanno italiano, ad esempio, è stato celebrato in maniera frammentaria.
I tempi dei grandi scandali sono lontani, ma la Massoneria è di nuovo impegnata a difendersi dalle polemiche politiche scaturite da alcune recenti inchieste giudiziarie. In prima fila nelle celebrazioni, ovviamente il Grande Oriente d’Italia, che ha organizzato convegni un po’ dappertutto, culminati nella festa romana svoltasi nei giardini del Vascello (la sede del Goi) la sera del 24 giugno. Purtroppo, però, il piatto forte di questo trecentesimo compleanno non è stato l’opera umanitaria e progressista della Libera Muratoria, ribadita dagli ospiti illustri che hanno animato i dibattiti, ma il braccio di ferro con la Commissione parlamentare antimafia nella versione sciapita della presidenza di Rosy Bindi e il disegno di legge sulle associazioni segrete, che si traduce nell’ennesimo giro di vite contro i grembiulini italiani. Stefano Bisi, il gran maestro del Goi, ha reagito a muso duro. Ma la sua è una lotta contro il tempo: da un lato, Bisi si è impegnato a portare avanti la politica di trasparenza e di templi aperti inaugurata dal suo predecessore Gustavo Raffi, dall’altro, c’è in effetti la necessità di una nuova normativa sul diritto d’associazione, che regoli in maniera diversa i gruppi culturali che a vario titolo operano in Italia. La Massoneria, con molta fatica, si appresta a diventare 2.0. Riusciranno i grembiulini a costruirsi un tempio su misura nella società liquida?

Saverio Paletta

Fonte Indygesto.it

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