est consulting

est consulting
Il primo portale dedicato all'investitore italiano in Rep. Ceca e Slovacchia

venerdì 18 agosto 2017

Ritorna obbligatorio il servizio militare.

Per prima ci aveva pensato la ministra della Difesa Roberta Pinotti, che però si è limitata all’ipotesi di reintrodurre il Servizio Civile obbligatorio.
L’idea di ricostituire la naja, invece, l’accarezzava Matteo Salvini, il segretario della Lega Nord, da circa un anno. E, da fine maggio, il desiderio del leader leghista è diventato un disegno di legge depositato a Palazzo Madama dal litigioso senatore leghista Sergio Divina (sì, è proprio quello della rissa in Aula sullo jus soli di metà giugno) e assegnato alle Commissioni riunite affari costituzionali e difesa.
Le motivazioni del ddl, intitolato Ripristino del servizio militare ecivile obbligatorio in tempo di pace e delega al Governo per la sua attuazione, riprendono alla lettera gli slogan scanditi a più riprese da Salvini sui vari palchi del Carroccio: «Ricostruire una cultura della solidarietà e rispondere altresì ad alcuni bisogni primari del territorio, soprattutto in situazioni in cui dovessero manifestarsi necessità particolari, dando modo a tutti di rendersi utili alla società nell’ambito per il quale ognuno si sente più portato: la protezione civile o la difesa militare».
Prima domanda: questa riforma, che verrà discussa alla ripresa settembrina dei lavori, è fattibile a livello costituzionale e giuridico? E, se sì, in che misura?
La risposta è stata anticipata alcuni mesi fa dalla ministra Pinotti mentre promuoveva la sua iniziativa: sì, è fattibile, perché la sospensione del servizio militare obbligatorio, la vecchia naja per capirci, non ha eliminato l’obbligo di leva, tant’è che l’articolo 52 della Costituzione (che recita: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge») non è stato mai toccato e i Comuni ogni anno redigono una lista dei 17enni residenti.
Il nuovo servizio militare obbligatorio delineato dal ddl Divina avrà una durata ridotta: otto mesi anziché un anno, quasi come in Svizzera (dove la durata è di sei mesi) e coinvolgerà anche le donne (come in Israele, dove il concetto di difesa della Patria è più stringente).
Il bacino di reclutamento e l’addestramento saranno su base regionale, e riguarderanno tutti i cittadini tra i 18 e i 28 anni di età, «compatibilmente con gli obblighi scolastici e universitari». La scelta tra servizio militare o civile sarà libera. Il periodo di leva sarà retribuito con
circa 700 euro al mese e sarà computato ai fini pensionistici.
Una sorta di lavoro svolto a non troppa distanza da casa.
Altra novità: l’obbligo della naja sarà esteso agli stranieri residenti in Italia da almeno cinque anni, che verranno reclutati nella misura del tre per cento del totale.
Al netto dei proclami generici, quali possono essere le motivazioni reali di quest’iniziativa?
Secondo il testo del ddl si intende fornire alle Forze Armate «un bacino più ampio di riserve mobilitabili, qualora la situazione internazionale non accenni a migliorare e risulti invece indispensabile affiancare ai professionisti attuali, di cui peraltro dovrebbe essere ridotto in maniera consistente il numero, una più vasta platea di persone che abbiano svolto un servizio militare addestrativo di base». Non è difficile leggere in controluce innanzitutto l’esigenza di risparmiare sul costo dei professionisti e l’esigenza di ricondurre l’Esercito a dinamiche più democratiche, cioè il timore che un esercito di soli professionisti possa diventare uno strumento politico.
Per quel che riguarda il servizio civile, che sarà svolto all’interno della Protezione Civile, le motivazioni reali sono addirittura più intuibili: rendere meno problematici i meccanismi del volontariato, magari sganciandoli da rapporti troppo stringenti con la politica, e ridimensionare il ruolo dell’associazionismo all’interno del settore.
Ovviamente è presto per dire altro, visto che la discussione del ddl entrerà nel vivo in autunno e si preannuncia non facile, se si considerano i tanti interessi consolidati da circa 12 anni che sarebbero toccati dalla naja 2.0 ideata da Salvini e disegnata da Divina.

Saverio Paletta

sabato 5 agosto 2017

Sfatiamo gli stereotipi su Italia e italiani.

Quando viene chiesto agli stranieri cosa pensano degli italiani, nella maggior parte dei casi molte delle risposte sono identiche, anche se a rispondere sono persone provenienti da diversi paesi. In particolare, due sono gli stereotipi più frequenti: gli italiani mangiano sempre pasta e pizza e sono mafiosi.
Probabilmente la credenza che gli abitanti della penisola mangino sempre solo pasta e pizza, dipende dal fatto che all'estero nell'insegna di molti dei ristoranti italiani o subito più giù, si trova scritto "pasta e pizza".
Ma sono davvero i piatti principali della famosa dieta mediterranea? Secondo una statistica pubblicata da UN.A.F.P.A. (Associations of Pasta Manufacturers of the European Union), gli italiani nel 2015 hanno consumato in media 23,5 kg di pasta, posizionandosi come i maggiori consumatori a livello mondiale.
Sono seguiti da Tunisia e Venezuela, mentre solo al quarto posto è possibile trovare un altro paese europeo, la Grecia, che ne ha consumati 11,2 kg. Non sorprende, a questo punto, che gli italiani siano anche i maggiori produttori di pasta al mondo, riuscendo a produrne 3.246.488 tonnellate l'anno. Coldiretti invece, ha stilato una classifica con i maggiori mangiatori di pizza al mondo e, sorprendentemente, in questo caso gli italiani non si trovano al primo posto. I primi in classifica sono gli americani, i quali mangiano quasi 13 kg di pizza a testa ogni anno; gli italiani invece ne mangiano soltanto la metà, 7,6 kg.
Tuttavia, sebbene non si tratti di un business tanto grande quanto quello americano, riveste pur sempre un ruolo molto rilevante in Europa, producendo un fatturato di 10 miliardi di euro solo in Italia. Per proteggere tale settore dunque, il presidente della Coldiretti ha candidato l'arte dei pizzaioli di Napoli come patrimonio dell'Unesco.
La seconda immagine che si presenta nella mente degli altri, quando pensano agli italiani, è quella della mafia. E' probabile che coloro che non sono mai stati in Italia, o che non conoscono degli italiani, si siano lasciati condizionare dalla miriade di proiezioni cinematografiche basate su tale tema. Tuttavia il termine mafia viene oggi utilizzato con molte accezioni: se gli stranieri fanno effettivamente riferimento a quella forma di criminologia, chiamata anche Cosa Nostra e tanto popolare per via del film Il Padrino, allora bisogna smontare questo falso mito, perché l'italiano medio non è mafioso.
Se invece si fa riferimento alle attività illegali effettuate dei cittadini italiani, allora la risposta potrebbe un po' cambiare. Il fatturato europeo relativo alle attività connesse alla mafia, si aggira attorno ai 110 miliardi di euro l'anno, l'1% del PIL, di cui 15,9 miliardi sono legati all'Italia (ocportfolio.eu).
Naturalmente oltre a questi, di stereotipi sugli italiani se ne annoverano anche molti altri. Un altro famoso cliché ci vede grandi intenditori e bevitori di caffè. Effettivamente secondo una ricerca pubblicata da Altroconsumo nel 2015, il 96,5% degli intervistati ha affermato di consumare caffè o bevande che lo contengano. Tuttavia, il consumo pari a 5,65 kg di caffè l'anno, basta solo a posizionarci al nono posto a livello mondiale, venendo ampiamente sorpassati dai paesi nordeuropei.
Per gli italiani infatti non è la quantità che conta, bensì la qualità. Così, le torrefazioni italiane, utilizzano pregiati chicchi di caffè per rispettare gli standard qualitativi e non deludere i loro consumatori: nel 2015 il fatturato del settore è stato di 3,3 miliardi di euro e le esportazioni pari all'11% del valore totale (comitcaf.it).
L'italiano è anche considerato poco rispettoso delle regole, specialmente quando si tratta di codice stradale. E purtroppo i dati lo confermano: anche se nel tempo è stato registrato un miglioramento, gli italiani rimangono il popolo che riceve più multe in Europa, principalmente per eccesso di velocità. Per esempio, solo nel primo semestre del 2016, il governo italiano ha incassato 476 milioni di euro provenienti da multe per mancato rispetto delle regole, da parte di automobilisti.
Infine abbiamo anche le etichette di latin lover, di ritardatari, di persone che parlano a voce troppo alta o che gesticolano molto, di essere alla moda e di amare la nostra famiglia. La verità è che di stereotipi sugli italiani ce ne sono a migliaia e con molta probabilità saranno quasi tutti veri. In fin dei conti, un motivo per il quale gli stereotipi esistono ci dovrà pur essere.
Ma attenzione, mai fare di tutta l'erba un fascio e non preoccupiamocene troppo: siamo anche il popolo più invidiato al mondo. In una classifica pubblicata da US News, gli italiani si classificano come il popolo migliore al mondo per la bontà del cibo, il grande gusto nella moda e l'invidiato stile di vita.